di Salvatore Vallario, Osservatorio Scuola dell’Alleanza Italiana Stop5G.
Molti e profondi gli effetti prodotti dalla pandemia del Coronavirus Covid-19. Nell’arco di pochi giorni la vita quotidiana ha subito drastici cambiamenti a livello planetario. Costretti a stare in casa, nell’attesa di un superamento dell’emergenza, la cui durata non è chiara neanche ai cosiddetti esperti. La scuola, luogo di densa socializzazione e di fondamentale importanza ai fini del mantenimento dell’equilibrio sociale, subisce il duro colpo delle misure di contenimento del contagio: vengono sospese le attività didattiche. Il ministro Azzolina, sulla base del D.P.C.M. del 4/3/2020, dichiara: “So che è una decisione d’impatto. Come Ministro dell’Istruzione spero che gli alunni tornino al più presto a scuola e mi impegno a far sì che il servizio pubblico essenziale, seppur a distanza, venga fornito a tutti i nostri studenti”...
Grazie ad un virus improvvisamente scoppiato, la digitalizzazione della scuola ha la sua grande occasione: a partire dal ministro, e passando attraverso tutte le figure coinvolte nel processo di educazione e formazione, un’unica voce sembra reclamare, con una tempestività non sempre rintracciabile negli annali della scuola italiana, la formula magica: DAD, didattica a distanza.
Il cammino intrapreso dalla scuola italiana nei lontani anni ‘80 col PNI (Piano nazionale di Informatica), e proseguito nei decenni successivi col tentativo di competere per la realizzazione dell’Educazione digitale, è arrivato all’appuntamento con la Storia. Il determinismo tecnologico e la retorica che hanno condizionato non poco il dibattito dall’ultimo passaggio di secolo fino ai nostri giorni sull’utilità delle nuove tecnologie in ambito formativo-didattico, sembra essere giunto a maturazione.
A dispetto di approfonditi studi (M. Gui, J.M.Twenge, M. Spitzer, M. Senatore, V. Andreoli, A. Baricco, M. Ferraris, N. Carr, fra gli altri), che spiegano, soprattutto nell’ultimo decennio, l’impatto dei devices digitali, dai mancati livelli di apprendimento al venir meno di una competenza critica nei confronti degli strumenti tecnologici, dai disturbi dell’apprendimento ai deficit relazionali, dalla demenza digitale all’analfabetismo emotivo dell’alessitimia, sembra comunque realizzarsi definitivamente la sovrapposizione tra progresso e innovazione, una convinta saldatura che si è tradotta nell’idea e nella pratica dell’ovvietà dell’innovazione. Come per abbrivio, tutto ruota intorno alle tecnologie intese come innovazione e progresso, cioè avanzamento positivo.
E non cambia certo l’atteggiamento se ci spostiamo su un altro piano, quello della salute. È in continua ascesa, a partire già dai primi anni del nuovo secolo, un crescente appello, proveniente dal mondo scientifico non allineato agli interessi economici, ad un uso prudente e controllato delle tecnologie basate sulle connessioni wireless (smartphone, tablet, Lim, ecc.) a causa sia dei numerosi studi comprovanti una preoccupante interferenza tra inquinamento elettromagnetico e salute, sia per gli effetti biologici non termici, colpevolmente non considerati dalle normative vigenti. L’accumularsi, nell’ultimo decennio, di numerosissimi studi ed evidenze scientifici, imporrebbe almeno un atteggiamento di prudenza, un’attenzione particolare alle conseguenze sulla salute umana denunciate dall’area della ricerca scientifica non pressata dal grande business di Big Phone.
Il principio di precauzione previsto dall’articolo 174 del Trattato U.E.; l’articolo 32 della Costituzione italiana; l’impegno della IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) a riclassificare a breve, per il periodo 2020-2024, le radiofrequenze attualmente inserite nella Classe 2 B come “ possibile cancerogeno per l’uomo “; la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, l’Accordo di Helsinki, e altri trattati internazionali che affermano il diritto fondamentale del consenso informato preventivo per interventi che possono danneggiare la salute umana; l’appello dell’ISDE (Medici per l’ambiente, 2020) nulla ottengono, allo stato attuale, contro l’ostinata religione della tecnologia digitale, gravata in più dall’attuale sperimentazione del 5G che, col suo pesante carico dell’Internet delle cose (IOT), richiederà a breve, per funzionare a pieno regime, un limite di legge molto più alto dell’attuale soglia italiana dei 6 V/m, come infatti proposto dal recentissimo Piano Colao, che ci parla di un innalzamento a ben 61 V/m.
Di fronte a questo inquietante quadro l’atteggiamento non cambia: almeno finora, nella politica governativa nazionale e, a seguire, in ogni ambito della vita istituzionale del Paese, non ci sono tracce di una concreta preoccupazione al riguardo ma, al contrario, è straripante il disinvolto e spensierato utilizzo di strumenti e apparecchi digitali (in primis lo smartphone) che, con il fascino delle loro utilità-comodità, concorrono a creare ciò che diversi studiosi chiamano “realtà aumentata”. Il mancato sguardo critico, l’assenza sostanziale di attenzione alle problematiche sanitarie, sembrano comunicare una surreale magica neutralità del digitale. Ma a ben guardare, la dimensione surreale è il frutto di un concreto processo storico, di origine politica ed economica.
Tutto nasce con la Strategia di Lisbona (2000), piano di riforme economiche e sociali dell’UE, il cui obiettivo di creare in Europa la più competitiva e dinamica economia della conoscenza nel mondo entro il 2010, ha indotto la UE a promuovere, soprattutto nelle scuole, politiche di investimento massiccio in tecnologia digitale. Sono anni decisivi in cui ci si allontana progressivamente da un atteggiamento misurato nei confronti delle nuove tecnologie (è del 2007 la circolare Fioroni che sancisce il disvalore dei cellulari vietandone, di conseguenza, l’uso a scuola) per affermare, grazie al PNSD (Piano Nazionale Scuola Digitale) introdotto con la Legge n° 107 del 2015, l’importanza dei devices digitali all’interno dell’attività didattica.
È il PNSD che, senza accennare ad alcuna criticità in materia di salute pubblica, oltre a sostenere l’ingresso del wireless negli istituti di ogni ordine e grado come “democratico“ diritto alla connessione, sdogana il BYOD (Bring Your Own Device), la modalità di utilizzo degli apparecchi digitali personali degli studenti, rinforzato successivamente (2017) dalla circolare Fedeli. Due i fattori, quindi, che sovrapponendosi e fondendosi, concorreranno, alla affermazione definitiva del digitale come mezzo essenziale ai fini della formazione degli studenti: l’ovvietà dell’innovazione tecnologica e la sua surreale magica neutralità. Ma tutto ciò, forse, non basta per comprendere pienamente la portata della spinta che sostiene il processo di digitalizzazione.
È fondamentale, a questo punto, considerare un altro elemento che riesce a dare ulteriore forza ai due fattori precedenti, creando così un’alleanza quasi invincibile. La psicologia sociale ci fornisce uno spunto interessante al riguardo. Il segnale viene dal concetto di Dissonanza cognitiva (L. Festinger), la condizione di conflitto che si vive quando si sperimenta una profonda contraddizione tra le nostre teorie o idee personali e le teorie o idee che ci provengono dal di fuori. Tradotto sul piano della nostra analisi, non volendo rinunciare a tutte le comodità che le tecnologie digitali ci offrono, siamo disposti a rimuovere, cancellandolo dal nostro sguardo, l’aspetto problematico ormai denunciato continuamente dalla ricerca scientifica indipendente, perché creerebbe una dissonanza insostenibile tra nostre convinzioni e abitudini e le convinzioni ‘esterne’, seppure in questo caso di derivazione scientifica. Mettendo insieme questi tre elementi, l’ovvietà della tecnologia, la sua ‘magica’ neutralità e la rimozione degli effetti negativi scaturita da una condizione di dissonanza cognitiva, e aggiungendo come fattore cruciale la spietata pressione esercitata dai forti interessi economici in gioco, possiamo capire il successo inarrestabile del “circo” digitale. Successo che non risparmia neanche il luogo deputato a formare la comunità della società prossima a venire: la scuola.
Ecco perché, in riferimento a quello che dovrebbe essere il sistema scuola, non si può rimanere insensibili di fronte alla totale assenza di problematizzazione dell’uso della tecnologia, alla celebrazione degli strumenti digitali come evoluzione naturale del processo educativo e formativo degli studenti, all’introduzione massiccia di apparecchiature in modalità wireless, all’uso istituzionale e privato, a volte anche fastidiosamente ostentato, di smartphone e tablet (studenti, docenti e personale scolastico), alla diffusione di hot spot wi-fi nei locali scolastici, all’abitudine diffusa di chat tra i docenti, tra gli studenti e anche tra studenti e insegnanti e, per tornare al tempo della pandemia, all’introduzione della didattica a distanza senza alcun tipo di raccomandazione o indicazione riguardante l’aspetto sanitario, cioè della salute, in questo caso, di bambini e adolescenti che vivono un’età soggetta a importanti cambiamenti fisiologici e psicologici, quindi particolarmente sensibili a qualunque fattore condizionante la loro crescita.
Colpisce enormemente, sia nelle diverse dichiarazioni del ministro sia nelle comunicazioni istituzionali riguardanti l’emergenza Covid-19, la totale assenza di un minimo di attenzione sull’impatto, quanto meno probabile, del digitale sulla salute degli studenti. Eppure basterebbe un po’ di sensibilità al tema della salute degli adolescenti, per rispettare l’art. 2 dello Statuto delle studentesse e degli studenti della Scuola secondaria che promette l’impegno a garantire “la salubrità e la sicurezza degli ambienti“ nonché “servizi di sostegno e promozione della salute”; basterebbe un po’ di attenzione ai dati statistici per capire che buona parte della didattica a distanza, come è già evidente a chi ha operato in questi ultimi mesi, verrà seguita dagli studenti con lo smartphone sia per scelta generazionale sia perché, come segnala il CENSIS (2018), di tutte le famiglie italiane solo il 22% possiede un pc fisso, il 40,9% non ha la rete telefonica fissa e più di un terzo si collega a Internet in modalità wireless; basterebbe poco per capire che, stanziando importanti fondi per il recupero dello svantaggio digitale (la quota degli 85 milioni di euro del Cura Italia destinata all’acquisto di devices per gli studenti che non possiedono tali strumenti), oltre a garantire il diritto alla connessione, si contribuisce ad aumentare i rischi per la salute degli adolescenti.
Ma la realtà della politica italiana non contempla queste premesse. Soprattutto negli ultimi anni abbiamo assistito ad una sequenza di fatti che raccontano quale sia lo Zeitgest, lo Spirito del tempo: l’incasso, nel 2018, di 6,550 miliardi per l’assegnazione delle frequenze per le reti 5G agli operatori della telefonia mobile Vodafone, Tim, Wind Tre, Iliad e Fastweb; la sentenza del TAR Lazio, che a gennaio 2019 ha condannato il Ministero dell’Ambiente, il Ministero della Salute e il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per non aver adottato una campagna informativa sui rischi per la salute e per l’ambiente connessi ad un uso improprio dei cellulari; la mancata deliberazione dei decreti attuativi della Legge n° 36/2001, per cui non compaiono ad oggi limiti per i dispositivi mobili (gli attuali limiti di legge si riferiscono solo alle antenne fisse: un pc connesso al Wi-Fi o un cellulare non sono regolamentati dalla normativa perché mobili); la rischiosissima sperimentazione del 5G su una popolazione di più di 4 milioni di cittadini italiani che non sono stati né interpellati né avvisati preventivamente.
È un quadro inquietante in cui, mentre la Scuola italiana celebra la Didattica a distanza, si intrecciano inadempienze governative e forti interessi economici, e l’iniziativa di Solidarietà Digitale promossa dal Ministro per l’Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione Paola Pisano, conquista anche il supporto dei Big Phone Vodafone, Tim, Wind Tre, Iliad e Fastweb, ormai sempre più di casa! Auspichiamo che non sia finito, per la scuola, il tempo della riflessione.
Bibliografia:
V. Andreoli, L’uomo col cervello in tasca, Solferino, 2019
A. Baricco, The Game, Einaudi, 2018
N. Carr, Internet ci rende stupidi?, Cortina, 2011
M. Desmurget, Il cretino digitale, Rizzoli, 2020
M. Ferraris, Dove sei? Ontologia del telefonino, Il Sole 24 0re, 2007
M. Gui, Il digitale a scuola, Il Mulino, 2019
M. Martucci, Manuale di autodifesa per elettrosensibili, Terra Nuova Edizioni, 2018
F. R. Orlando, F. Marinelli, Wireless, Libreria Editrice Fiorentina, 2019
Osservatorio Scuola Alleanza Italiana Stop5G, Dossier La scuola elettromagnetica, online su http://www.alleanzaitalianastop5g.it
M. Senatore, Bambini digitali, Il Leone verde, 2019
M. Spitzer, Demenza digitale, Corbaccio, 2012
M. Spitzer, Emergenza smartphone, Corbaccio, 2018
J. M., Twenge, Iperconnessi, Einaudi, 2018
AA. VV., 5G, Cellulari, Wi-Fi: un esperimento sulla salute di tutti, Licenza copyleft, 2019
1° Rapporto Auditel-Censis, Convivenze, relazioni e stili di vita delle famiglie italiane- sintesi dei principali risultati Roma, 25 settembre 2018.