Laboratori per l’emergenza: orientarsi ed esprimersi nell'isolamento forzato

A cura della Comunità riabilitativa psicosociale “La Bussola” di Valfenera (AT) e della Cooperativa “La strada” s.c.s. di Asti.

Essere adolescenti costretti a rimanere in casa, lontano da amici, scuola, socialità non è facile per nessuno. Ma quando "casa" è la Comunità in cui si è ospitati, allora è ancora più difficile. Qui, la natura che si risveglia è una grande occasione, ma essere in mezzo alle colline e ai boschi è anche essere in un regno sotto incantesimo, ancora più separati dal mondo di sempre. Il tempo di questo inatteso isolamento è lungo e idee bisogna averne tante e praticabili...

Così, in questa prolungata parentesi di isolamento e disorientamento, abbiamo pensato di stimolare le nostre ragazze e i nostri ragazzi con nuovi laboratori che permettessero loro di tirare fuori energie e pensieri. Abbiamo iniziato con un laboratorio di cucina: il cibo è una risorsa naturale, l’idea viene spontanea, la dolcezza non può che far bene ed è un ottimo modo per realizzare soddisfazione, stima delle proprie capacità e voglia di stare e condividere insieme.
Niente di meglio allora del profumo del lievito e delle mele o dell’impalpabilità della farina mischiata alle uova delle nostre gallinelle. Ottenere un composto senza grumi, lasciarlo riposare e crescere in un luogo protetto e avere come risultato un vassoio di dorate e sorridenti frittelle brillanti di zucchero, è tutt’altro che poco, per chiunque e in particolare per i nostri ragazzi.

Ma se tutti hanno necessità di muoversi, degli adolescenti costretti all'immobilità, a non spostarsi in un ampio spazio di prospettive e relazioni, ne hanno ancora di più. Così sfruttando la fortunata posizione della nostra Comunità e le belle giornate dalla piacevole temperatura, abbiamo proposto un'ora di attività ginnica all'aperto a cui tutti hanno aderito, abbandonando finalmente il comodo divano, frequentato troppo a lungo, e dimostrando il bisogno di sfogare in azione le proprie emozioni, con un linguaggio con cui forse è più facile esprimersi.
Abbiamo fatto esercizi, dove ognuno ha avuto modo di arrivare a toccare i propri limiti, di sentirsi più stanco, più soddisfatto, quasi libero, sfuggendo alla sensazione di chiusura imposta dal momento.

Ma non ci siamo fermati e un altro giorno abbiamo corso, tutti insieme lungo la stradina della comunità per un quarto d’ora, ognuno al proprio ritmo, ma sempre con un occhio rivolto verso gli altri. Terminato l’allenamento i ragazzi erano di buon umore e hanno continuato a giocare ancora un po’ a calcio, perché l’energia è tanta, e perché questo siamo: un corpo che contiene emozioni e pensieri. E abbiamo bisogno di sentirlo, di esprimerlo e di essere consapevoli dell'uno e degli altri.
Tutte queste attività all’aria aperta si sono rivelate come occasioni per migliorare la loro cura del sé e per aumentare la loro autostima: in fondo questo è anche il risultato di un naturale coadiuvarsi a vicenda delle energie personali dei ragazzi con quelle della natura che li circondava e mutava e cresceva, proprio come loro, ad ogni momento.
La prova di tutto questo è venuta qualche giorno dopo, quando sull’esempio di un primo ragazzo si è ricreato spontaneamente un gruppo che ha svolto nuovamente attività simili e l’entusiasmo, in entrambe le occasioni, era tangibile.

E poi c’è la mente, c’è la sfera dell’emotività, c’è tutto quello che rimane dentro, inespresso, a creare propri scenari. Per farli emergere, abbiamo pensato ad uno “sfogo dei pensieri”, e abbiamo proposto un laboratorio di discussione e dibattito, scegliendo come argomento ciò che più ci tocca in questo periodo: il Covid 19. Ci siamo riuniti tutti attorno a un tavolo, creando sulle prime un clima di curiosità, ma anche di imbarazzo tra i ragazzi, abituati a vivere insieme, ma non tanto a stare davvero insieme, condividendo dubbi e pensieri.
Abbiamo rotto il ghiaccio noi educatori, dando alcune informazioni generali sulla situazione, ma ci siamo poi subito rivolti a loro chiedendo non tanto cosa sapessero, ma cosa provassero in questo momento. Chi è più loquace ha subito iniziato a parlare, affermando tra l’altro che stava scoprendo il piacere di stare in comunità e di affezionarsi di più a tutti i presenti, sentendosi “a casa, in famiglia”. Ha concluso poi dicendo che non avrebbe mai pensato che gli sarebbe mancata così tanto la possibilità di andare a scuola, “ci andrei pure di domenica!!”.
C’è chi invece ha cercato di nascondere come sempre le proprie emozioni, intervenendo con dati numerici e fatti oggettivi, ma poi confessando, “non pensavo che la comunità potesse piacermi”.
E c’è chi, come in altre occasioni, si è mostrato più insicuro nell’esporsi. Insomma, ognuno ha mantenuto la propria personalità, senza forzature. Tutti e tutte però hanno sottolineato un maggiore apprezzamento di chi si ha accanto, il fatto che avere il tempo di conoscersi meglio, riveli le qualità degli altri e di noi stessi.

Mentre noi parlavamo, una ragazza disegnava e scriveva ciò che dicevamo, lo interpretava  creativamente, facendone un “verbale delle emozioni e dei pensieri”. Ne è uscito infatti un cartellone davvero emozionante da cui traspare la loro paura, l’ansia per i propri cari a casa, ma anche un sarcasmo e un senso di leggerezza tipici dell’età adolescenziale. Ci sono battute sulle cronache dell’attualità, c’è chi teme di non riuscire a ricevere il regalo per il proprio compleanno e chi considera con amara ironia che “siamo proprio nella m…a!”. Parlando con i ragazzi, ci siamo accorti di come avessero difficoltà a immaginarsi lo svolgersi della vita fuori dalla Comunità, quasi un'incredulità per il mondo non visto, di cui non si ha esperienza, il mondo delle mascherine, delle lunghe code al supermercato, il mondo che pone limiti per proteggere.
Questo momento/laboratorio ci è parso molto utile per informare i ragazzi, e importante per creare quello spazio di confronto dove loro, seppur con iniziale fatica, sono riusciti ad esprimere dubbi, curiosità, incertezze e soprattutto sensazioni, emozioni, paure.

Infine, ci sono i momenti in cui c’è bisogno di colore e di improvvisazione. Un litigio nel gruppo, il tempo che non passa e non si sa più cosa fare… Allora l’educatrice prende un telo e propone ai ragazzi di “sporcarsi” mani e piedi di colore. Loro ci stanno e scelgono due colori, fucsia e blu. Si intingono mani e piedi, l’educatrice cerca di dare alcune regole all’attività, ma è difficile perché questa è la danza libera e selvaggia della fuga dalla noia e dal conflitto.
Qualcuno intinge una mano, lascia il segno e poi basta, ci rinuncia.  Altri dopo alcune ordinate impronte, non resistono e immergono entrambi i piedi e le mani nel colore, dapprima uno solo, ma poi li mischiano e ne creano altri: blu, fucsia, viola, cardinale, rosso intenso, ora è tutto un colore, è un vortice di impronte e mani che invadono il lenzuolo bianco! Così abbiamo sperimentato che si può danzare sulle proprie tracce, che siano passi o impronte di mani che vogliono segnalare la propria esistenza, la propria voglia di vivere.
E’ la danza dell’affermazione di sé, che ci collega alla terra e al cielo.

E quindi, che il nostro lenzuolo tatuato diventi una vela da appendere dove tutti la vedano e ci possano vedere: appendiamola lì, ad un passo dalla libertà. Così, proprio così scriviamo per firmarlo questo lenzuolo/vela, gli diamo il nome del desiderio più grande, un desiderio che a chiedergli come si chiama, ha un nome ben preciso, un nome che a dirlo dà respiro e a cui tutti, con strade e modi differenti, con forza e fragilità, aspiriamo: Free, Libertà.

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