di Alessandro Mortarino.
Domenica 4 dicembre tutte le cittadine e i cittadini italiani saranno chiamati alle urne per promuovere o bocciare la riforma costituzionale promossa dal Governo attualmente in carica. In queste settimane il dibattito sta crescendo; con toni sempre più cruenti, ma spesso con argomentazioni "di parte" che rischiano di confondere gli indecisi poichè basate su elementi spesso puramente ideologici anzichè concentrati sulle questioni oggettive. Venerdì scorso, ad Alba, il professor Salvatore Settis ha invece saputo spiegare la situazione utilizzando il quesito proposto dalla scheda che ci verrà consegnata ai seggi. Molto più concreto e comprensibile ...
Salvatore Settis non è un costituzionalista. Ma un «cittadino italiano pensante», come ha voluto sottolineare a più riprese. Archeologo e storico dell'arte italiano, ex direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa, già direttore del Getty Center for the History of Art and the Humanities di Los Angeles, membro di numerose istituzioni scientifiche internazionali, ex presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali, autore di saggi di grande rilievo sulle questioni della tutela paesaggistica, pochi mesi fa ha pubblicato "Costituzione! Perché attuarla è meglio che cambiarla", un testo importante che spiega nei dettagli i pericoli di questa riforma.
Settis ha proposto al folto pubblico presente in sala ad Alba un metodo conoscitivo: rispondere punto per punto ai cinque quesiti indicati sulla scheda (attualmente messi in discussione da un ricorso presentato dall'ex Presidente della Corte Costituzionale Valerio Onida) e a cui noi dovremo dire "Sì" oppure "No".
Un quesito discutibile, ma non falso o menzognero, in quanto propone esattamente il titolo della riforma presentato dal Governo. Ma un quesito scorretto.
Nel 2006 gli italiani bocciarono il referendum proposto dal quesito: «Approvate il testo della legge costituzionale concernente "Modifiche alla Parte II della Costituzione" approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 269 del 18 novembre 2005?». Un quesito chiaro: chiedeva l'approvazione di una legge e rimandava alla sua lettura completa.
Questa volta, invece, si è scelto di elencare in sintesi cinque punti che possono indurre in errore l'elettore meno preparato (cioè la stragrande maggioranza), quando sarebbe stato facile e corretto utilizzare la medesima formula «Approvate il testo della legge costituzionale concernente ...» e rimandare alla lettura completa.
Una scelta, quindi, voluta ad arte.
Ma cosa dice oggi la scheda referendaria ? Vediamo i cinque punti.
1. Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario.
E' una dichiarazione falsa ? No, dice Settis. Non è falso, ma l'impostazione data dalla riforma nella realtà non elimina il bicameralismo paritario e non provoca quella semplificazione legislativa ipotizzata: il Senato viene ridimensionato ma non eliminato e gli artt. 70 e 72 faranno moltiplicare i modelli di procedimento legislativo, con potenziali ritardi e conflitti nei non pochi casi in cui il Senato manterrà una posizione paritaria. Saranno, infatti, ben sedici gli ambiti di materie in cui la funzione legislativa resterà ancora esercitata collettivamente dalla Camera dei Deputati e dal nuovo Senato.
I tipi di procedimento legislativo, dagli attuali tre (procedimento legislativo normale, procedimento di conversione dei decreti legge, leggi costituzionali), diventerebbero quindi almeno otto, con notevoli rischi di contrasto tra le due Camere.
Rispetto alle leggi approvate dalla sola Camera dei Deputati, il Senato potrà decidere di esaminare il testo entro 10 giorni e di proporre proposte di modifica entro 30 giorni, sulle quali la Camera si pronuncerà poi in via definitiva. Vi sono, però, leggi monocamerali, come ad esempio la legge di bilancio, che prevede un esame necessario del Senato, il quale potrà - entro 15 giorni - approvare proposte di modifica su cui sarà la Camera a decidere in via definitiva.
La procedura della doppia approvazione rimarrà per alcune leggi, come quelle costituzionali. Tutte le altre saranno trasmesse al Senato che avrà dieci giorni di tempo per decidere se esaminarle. A quel punto, se un terzo dei senatori ne faranno richiesta, il Senato potrà, entro 40 giorni, suggerire modifiche alla Camera che, a sua volta, potrà respingerle con un semplice voto (se la materia della legge riguarda gli affari delle Regioni, la Camera potrà respingere la richiesta di modifiche soltanto con un voto a maggioranza assoluta).
Dove trovate la sbandierata semplificazione ? Pare evidente che così non sarà e l’obiettivo vero sembra, dunque, essere quello di indebolire il Parlamento riducendone la capacità rappresentativa e cancellando il diritto degli italiani di scegliersi i Senatori. Senatori che potranno avere anche 18 anni, poiché quella è l'età in cui si può essere eletti Sindaci, stravolgendo il significato del "Senatus" romano, cioè della più autorevole assemblea dello Stato. ...
2. La riduzione del numero dei parlamentari.
E' una dichiarazione falsa ? No, dice Settis. Non è falso, perchè il numero di parlamentari diminuirà effettivamente. Ma se il nuovo Senato verrà ridotto da 315 a 100 membri, perchè il numero dei componenti della Camera resterà irragionevolmente invariato a 630, nonostante il Governo Letta avesse proposto di ridurli a poco più di 500?
Nel nuovo Senato entreranno a mezzo servizio per ogni Regione pochi consiglieri-senatori e un sindaco-senatore, legati al segmento di territorio in cui sono stati eletti, "senza vincolo di mandato" (ma se rappresentano le istituzioni non dovrebbero agire con “vincolo di mandato” rispetto all’ente di cui sono rappresentanti ?), e per di più con il privilegio dell'immunità parlamentare in caso di arresti, perquisizioni, intercettazioni.
I senatori-consiglieri non rappresenteranno i governi regionali, la voce e le istanze delle Regioni in quanto tali, ma si organizzeranno al Senato in gruppi in base al partito di appartenenza e senza vincolo di mandato.
E poiché i rinnovi delle amministrazioni regionali avvengono in anni differenti, il turn over al Senato sarà all'ordine del giorno, con maggioranze ed opposizioni in continua modificazione.
E, infine: Sindaci e consiglieri regionali, divenuti Senatori, saranno in grado di svolgere al meglio entrambi i delicati ruoli o finiranno per essere degli "yes man" per mancanza di tempo ?
3. Il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni.
E' una dichiarazione falsa ? No, dice Settis. Non è falso, ma i risparmi saranno assolutamente trascurabili. I nuovi senatori non riceveranno alcuna indennità aggiuntiva, ma è indubbio che le loro trasferte romane e l'ausilio di apposite segreterie individuali verranno compensate da congrui rimborsi spese che ricadranno sui costi "della politica". Il risparmio effettivo dovrebbe oscillare attorno ai 48 milioni di euro, stimati dal questore del Senato Lucio Malan; su un bilancio di 540 milioni di euro, il risparmio vale più o meno l' 8,8 %, una cifra davvero risibile e modesta per giustificare una riforma così ampia della nostra Costituzione.
I costi del Senato verrebbero ridotti solo di un quinto: dunque se il "problema" sono i costi, allora perché non dimezzare il numero di Deputati della Camera? Se la riduzione dei costi della politica è l'obiettivo di questa riforma, non sarebbe stato più semplice perseguirlo prevedendo una riduzione proporzionale di Camera e Senato oppure abolendo il Senato e lasciando la Camera con una legge proporzionale ?
4. La soppressione del Cnel.
E' una dichiarazione falsa ? No, dice Settis. Non è falso e questo è l'unico punto della riforma Renzi-Boschi su cui tutti sono d'accordo.
Il Cnel (Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro) fu costituito il 5 gennaio del 1957, con il compito principale di dare consulenza al Governo in merito agli argomenti di natura economica, avendo anche facoltà di presentare disegni di legge. E' composto da 65 consiglieri e in oltre mezzo secolo di attività ha proposto soltanto 14 disegni di legge: nessuno di questi è mai stato preso in considerazione. Inoltre ha dato pareri in appena 96 occasioni, nemmeno la media di 2 volte all'anno.
I risparmi dall’abolizione del CNEL saranno nell’ordine di alcuni milioni di euro; nel 2015 il Cnel è costato allo Stato circa 9 milioni di euro e altrettanto si prevede a fine 2016.
5. La revisione del Titolo V della parte II della Costituzione.
E' una dichiarazione falsa ? No, dice Settis. Non è falso, ma la riforma in realtà non porterà benefici in quanto elimina formalmente la legislazione concorrente delle Regioni, ma aumenta le materie di competenza esclusiva della legislazione statale, reintroducendo “l’interesse nazionale”, eliminato dalla riforma del 2001, con la possibilità per la legge statale di “invadere” la competenza regionale utilizzando la cosiddetta clausola di supremazia.
Riduce, quindi, le Regioni ad una sorta di super-Province con funzioni sostanzialmente amministrative. Come si concilia questa neo-centralizzazione delle competenze legislative regionali con l’intento dichiarato di creare un Senato rappresentativo delle istituzioni territoriali?
Il giudizio del professor Settis è dunque chiaro: questa riforma deve essere rifiutata dagli elettori poiché scritta male e contenente indirizzi che peggioreranno l'attività della nostra democrazia parlamentare. Tanto che gli 11 ex presidenti della Corte Costituzionale si sono apertamente schierati contro questa proposta di riforma: 11 a 0, nessuno di loro appoggia i sostenitori del "Sì".
In un solo colpo vengono modificati 47 articoli su un totale di 139, vale a dire un terzo della Costituzione in vigore. E' la proposta di riforma di gran lunga piú ampia che si sia mai fatta. Il record precedente è della riforma del Titolo V (2001), che incise su soli 17 articoli. Tutte le altre riforme della Costituzione si sono limitate a pochissimi articoli: 43 modifiche dal 1948 al 2015 !
In caso di vittoria dei Sì, grazie all’abnorme premio di maggioranza concesso dall’Italicum alla Camera, tutti i poteri saranno concentrati nelle mani di una sola forza politica (anche con un consenso molto limitato) e del suo leader: questo modifica – di fatto – la forma di governo, passando da una democrazia parlamentare a una “democrazia plebiscitaria” o “di investitura” data l’inesistenza di seri contropoteri politici nei confronti del governo sostenuto dal gruppo parlamentare più votato, che grazie all’Italicum otterrebbe, col solo 25 per cento dei voti, ben 340 seggi alla Camera dei deputati e il cui leader godrebbe di un’investitura democratica quasi-diretta.
Questa riforma, inoltre, non amplia la partecipazione diretta da parte dei cittadini, anzi triplica da 50.000 a 150.000 le firme necessarie per le proposte di legge di iniziativa popolare, rendendo sempre più difficile la democrazia "dal basso".
Ma allora, si domanda Settis, perchè si è voluto procedere con questa proposta di riforma ?
La risposta sta, forse, in un documento di sedici pagine del 28 maggio 2013 di JP Morgan (società finanziaria con sede a New York, “leader” nei servizi finanziari globali), significativamente intitolato: “Aggiustamenti nell’area euro”. A pagina 12 e 13 si parla espressamente delle Costituzioni dei Paesi europei: «Quando la crisi è iniziata era diffusa l’idea che questi limiti intrinseci avessero natura prettamente economica. Ma col tempo è divenuto chiaro che esistono anche limiti di natura politica. I sistemi politici dei Paesi del Sud, e in particolare le loro Costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano una serie di caratteristiche che appaiono inadatte a favorire la maggiore integrazione dell’area europea. I problemi economici dell’Europa sono dovuti al fatto che i sistemi politici della periferia meridionale sono stati instaurati in seguito alla caduta di dittature, e sono rimasti segnati da quell’esperienza. Le Costituzioni mostrano una forte influenza delle idee socialiste, e in ciò riflettono la grande forza politica raggiunta dai partiti di sinistra dopo la sconfitta del fascismo. I sistemi politici e costituzionali del Sud presentano le seguenti caratteristiche: esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti, governi centrali deboli nei confronti delle regioni, tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori, tecniche di costruzione del consenso fondate sul clientelismo, il diritto di protestare se i cambiamenti sono sgraditi. La crisi ha illustrato a quali conseguenze portino queste caratteristiche. I Paesi della periferia hanno ottenuto successi solo parziali nel seguire percorsi di riforme economiche e fiscali, e abbiamo visto esecutivi limitati nella loro azione dalle costituzioni (Portogallo), dalle autorità locali (Spagna), e dalla crescita di partiti populisti (Italia e Grecia). (...) Il test più importante sarà per l’Italia dove il nuovo governo dovrà dimostrare di sapersi impegnare per una riforma politica significativa».
Quando JP Morgan parla di "sistemi politici della periferia meridionale", si riferisce all'Italia. Primo Paese che dovrà fare da "cavia" al nuovo modello che i poteri forti hanno scelto per tutti noi ...