A te non è mai piaciuto


di Lidia Ravera (monologo, letto dall’autrice, domenica 14 ottobre alle OGR-Officine Grandi Riparazioni di Torino durante l’iniziativa "Mai più complici").


Ciao bimba bella. Ciao. Ciao ciao ciao. Non li puoi aprire gli occhi, eh…? Non importa… No, guarda che non mi offendo… È come quando ti leggevo uno dei miei articoli e tu sbadigliavi. Lì per lì sembrava che ero offesa… Ma non era mica vero, sai ?. Tu sbadigliavi: che incubo la mamma femminista, sempre lì a farti due palle sul maschio com’è e come non è, e la donna invece qua e là su e giù… sbadigliavi, tu, e io smettevo di leggere… me ne andavo in cucina, “tanto ci sono abituata che le mie figlie mi scavalcano a destra” ...

Mi venivi dietro in cucina perché lo sapevi che mi sarei messa a tagliuzzare carote. Ti ricordi le mie insalate? Le chiamavi Sana Reazione Materna Vegetale all’insulto delle Giovani Carnivore Disimpegnate.
Mi arrivavi alle spalle, in cucina, dopo un po’, con il mio articolo bello stampato (che la stampante con te e con tua sorella funzionava sempre e con me mai). Lo leggevi tu, con sentimento… lo declamavi… E a me sembrava quasi troppo bello. Ti ricordi? Niente. Non ti ricordi. Non mi senti. Non senti. Questa è ufficialmente la più disperata delle nostre famose chiacchiere fra donne. Tanto che, di mio, guarda, per una volta, starei pure zitta.

Zitta e piangi, madre di merda. Perché è questo che mi sento con te stesa in quel letto. Con quei cazzo di tubi nel naso e il sacchetto del sangue e il monitor che non riesco a staccare gli occhi di lì anche se i segni non li capisco. Me l’ha detto il meno scemo dei medici: parli signora, parli… stia seduta vicino a sua figlia e parli. Le faccia sentire il suono della sua voce. Ciao bimba bella. Ciao ciao ciao. Ecco qua il suono della mia voce. Com’è? Come mi è venuto… Quello di sempre? Quello di quando ti leggevo i miei articoli o quello di quando parlavamo di lui?
Con che tono ti sto parlando? Il Didattico Polemico della mamma femminista? O quello scocciato e severo di quando ti dicevo Mollalo? Nè uno nè l’altro, direi… bimba bella. Questo è il tono disperato della madre che non è servita a niente. Mai sentito, vero, Bimbabella? Beh, c’è sempre una prima volta.

La prima volta che ho provato a parlarti di lui, hai detto “A te Stefano non è mai piaciuto”. Infatti purtroppo no. Stefano è uno stronzo… per dirla in poesia… E non mi sono mai bevuta le tue balle, bimbabella. So distinguere un pugno da un colpo di freddo. So distinguere i lividi a grappolo di una scarica di colpi dal singolo livido giallo di una ragazzina distratta che ha sbattuto contro un tavolino. So che due incisivi non ti cadono mordendo il guscio di una noce, non a 29 anni. Perché ho fatto finta di crederci? Lo vuoi proprio sapere? Per non perdere il contatto. Perché avevo paura di perderti… siamo così noi… Le allegre streghe degli anni settanta… lo sappiamo che da 40 anni cercano di liquidarci con una scarica ininterrotta di caricature. E voi magari ci credete… Voi, le nostre figlie… tu, le altre…
E allora ci difendiamo… vi facciamo la corte… fingiamo di credere alle vostre palle… Perché sì, certo, noi siamo Quelle che si erano ficcate in testa di insegnare alle donne a sentirsi forti come i maschi. Forti libere importanti. Ma non siamo soltanto quello. Noi siamo quelle che hanno incominciato ad alzare la testa, a cambiare il dentro, il dentro sì… Dentro casa dentro il letto dentro il cuore… Ti sto annoiando, spero! Ti sto annoiando?… Dimmi di sì… Sbadiglia bimba bella, sbadiglia, ridi… mandami al diavolo… bimba… non rimanere lì… non così ferma, ti prego… Ho… ho di nuovo sbagliato tono… mi hanno detto di parlare allegra e invece…

Invece io sono un disastro… io sono proprio un disastro… e mi son messa d’impegno per diventare un disastro… è che… volevo una vita da persona… giocare da sola piuttosto che giocare comunque, anche se non sei d’accordo sulle regole… ho pagato. Io. Io ho pagato ma non volevo che pagassi anche tu. Nella mia testa tu dovevi giocare un gioco nuovo. Un gioco che… anche le ragazze possono distribuire le carte, vincere una mano, o magari far saltare il banco… Non è andata così. Quando mi hai presentato Stefano me ne sono accorta subito che le cose non stavano andando come avevo sperato. È un uomo vecchio, Stefano. Non importa che ha 30 anni… Ti guardava con occhi da padrone. Non mi piaceva come ti guardava. Ti spostava una ciocca di capelli dalla fronte e io mi sentivo come se te l’avesse strappata. Gli piaceva umiliarti, ti ricordi, quando ancora si cenava certe volte tutti insieme e c’erano anche amici miei, quegli stessi amici che ti hanno vista crescere e hanno sempre apprezzato la tua intelligenza… tu parlavi come hai sempre fatto e poi, all’improvviso, ti giravi verso di di lui con uno sguardo timido, come cercassi la sua approvazione… quello sguardo non era il tuo e lui… ah per lui era come un segnale, iniziava a sfotterti con cattiveria, ti ridicolizzava… I miei amici si imbarazzavano.
Poi un giorno Roberta, te la ricordi Roberta, adesso non c’è più, è una che non ce l’ha fatta a invecchiare, all’epoca era ancora la più tosta di noi, la più aggressiva, beh una volta Roberta ha provato a rispondergli e lui ti ha fatta alzare da tavola e ti ha detto andiamo via. Ha detto andiamo via e tu l’hai seguito, bimbabella. No, no no no… non ti sto accusando. Non ti accuso di niente.

Non siete più tornati a cena da noi. Ci vedevamo io e te da sole. E… ci vedevamo sempre meno. Certe volte ti invitavo a pranzo, sapendo che lui a pranzo non tornava a casa. Dicevi di sì. All’ultimo secondo mi chiamavi per dirmi che non potevi. Un impegno improvviso. Scusa tanto, mamy. Scusa tanto. Figurati se non ti scuso. Hai un sacco da studiare. Stai preparando la tesi di dottorato. E naturalmente io sono orgogliosa di te. Sono tronfia come un tacchino, trasudo ammirazione e rispetto e gioia… Com’era il titolo? “Disuguaglianze digitali. Le nuove forme di esclusione nella società dell’informazione”. Dio, quanto è brava mia figlia. Brava e bella e capace. Una che sa raccontare il suo tempo, analizzare, cose che io non capirò mai…

Oh Dio, adoravo sentirmi inferiore, superata, mi piaceva, da morire, l’idea di passare il testimone, di vederti andare avanti, di vedervi, tutte, aggiungere al puzzle incompleto della mia idea di mondo tutte le tessere del nuovo anche a costo di veder spazzate via come vecchie e decadute le mie più intime convinzioni… Tu lo sai che detesto l’idea di invecchiare, ma la tua giovinezza trionfante, il trionfo delle vostre giovinezze, è l’unica vera consolazione, l’unica libidine del nostro inquieto tramontare… Sì, si lo sai. E io lo so che lo sai. Lo sapevi anche ieri vero?
Ieri quando mi hai telefonato con la voce dei tuoi giorni migliori e mi hai detto che il tuo professore farà pubblicare la tua tesi e ti ha chiesto di lavorare con lui e ti ha detto che avrai un posto all’università… ricercatrice e poi… tutto il resto… quattro soldi ma non importa… e io ho detto tesoro mio, che bellezza e ti ho detto voglio fare festa, voglio fare festa, perché in questo Paese di merda, senza spinte e senza mercatino delle carni fresche tu, mia figlia, hai ottenuto quello che meritavi…
Ieri… mi sembra passato un mese, un anno, una vita, da ieri a oggi… 26 ore…

Ho cucinato per te tutto il pomeriggio, tutti i tuoi piatti preferiti da quando avevi due anni in avanti… dalla cervella fritta alla pasta con le sarde senza dimenticare la mousse di cioccolato e le patatine al vapore… ho invitato tua sorella e tuo padre… così, il fatto di non invitare lui, anche se non ce lo siamo detto, sembrava più naturale… una festa in famiglia… noi quattro… anche se io non ci sono riuscita a tenere insieme la nostra famiglia… però tuo padre su di me, non ha mai alzato neanche la voce…
Sono arrivati puntuali tutti e due… Irene… tuo padre… Tua sorella e tuo padre. Ti avevano comperato un regalo tutti e due… ti abbiamo aspettata parlando delle tue glorie scolastiche… alle nove e mezza io sono diventata nervosa. Ne avevo già presi di bidoni dell’ultimo minuto da te… Irene mi ha detto: tranquilla, verrà. Era contenta di venire. Ci ho parlato io.

Io lo so che tu e Irene vi parlate. Lei… lei è una tosta. La piccola di casa. Gli uomini li usa e li scarta. Ogni tanto ho l’impressione che non sia felice. Ma chi di noi lo è? È di questo mondo la felicità? … Non mi rispondi. Sei così bianca. Immobile. Se tu vivi, se tu… apri gli occhi, non chiederò più niente. Ecco faccio questo patto… Anche davanti a Dio se è necessario… anche se non ci credo… anche se… Oh, Irene… ciao.
Niente, mi hanno detto di parlarle. Me l’ha detto il dottor comesichiama… Non le sto dicendo le cose giuste? E che cosa dovrei dirle? Non ho mai avuto un buon rapporto con le favole. E poi conta il suono della voce ….non il senso, il suono… Però questo no, questo non diciamoglielo. Oppure sì, diciamoglielo, ma con una voce dolce. Come se non fosse terribile.

O meno terribile di com’è. Terribile, ma poco. Rimediabile. Aspetta… faccio io… glielo dico io… Io so come devo fare…

… Ehi, bimbabella, il tuo Stefano… l’hanno arrestato. Se gli vuoi ancora bene, cerca di svegliarti, se tu ti svegli gli riducono la pena… Se tu continui a sostenere che è stato un colpo di vento, la gamba di un tavolo, la buccia di banana su una scala, se tu continui a mentire …se l’ematoma si assorbe, se le costole si aggiustano, se apri gli occhi, se impari a tacere, se chiudi gli occhi, se impari a non guardarlo, se ti riprendi e ti riperdi subito dopo, se ti consegni alle sue fantasie di dominio, se gli è bastato ucciderti una volta per sentirti vulnerabile, come una bambina di vetro fra le sue mani …se gli è bastato fare scempio della tua bellezza per sentirsi padrone… se l’enormità del mio dolore ha placato la sua paura… forse …puoi goderti un supplemento d’inferno, bimbabella, bimbamia…

Io ti prometto solennemente di sparire. Gli sputerò sulla faccia una volta sola. L’avrei fatto questa notte, quando siamo arrivati a casa tua e abbiamo buttato giù la porta perché nessuno aveva le chiavi e nessuno aveva le chiavi perché lui non voleva che qualcuno avesse le chiavi del vostro nido… Gli avrei sputato in faccia. L’avrei preso a calci. L’avrei massacrato di schiaffi… ma lui non c’era. Lui, ti ha lasciata per terra, sola, sdraiata nel tuo sangue e …oddio, non sto più parlando con la voce soave… sto …facendo un comizio?… scusa, Irene, mi sono fatta trasportare. Avevo promesso. Lo so. Ma devi capire che, per una come me, è difficile frequentare con profitto la tradizione del dolore passivo. Noi… io… no, non io, noi… è ora che ricominciamo a dire noi… e peggio per chi è rimasta imbrigliata nella sua solitudine singolare… Non è il momento di fare comizi? Va bene, non ne faccio. O li faccio con un tono soave… E mi sono stufata di censurare la rabbia, l’odio se è necessario… c’è mia figlia in quel letto, potrebbe esserci la figlia di chiunque… la mia rabbia non sarebbe minore… non…

Oddio, davvero? sei sicura? …no, è un riflesso della luce… non ha aperto un occhio, Irene… oh sì, sì l’ha aperto… ha aperto anche l’altro… le labbra, bimbabella… aspetta, mi avvicino… che cosa… che cosa dici… Sì, sì, bimbabella, lo confesso… è vero… a me Stefano, non mi è mai piaciuto… Mai…
Irene va a chiamare qualcuno… Devo continuare a parlare? D’accordo, continuo… A me non è mai piaciuto, Stefano… Mai nemmeno quando stava zitto. Mai. Nemmeno quando diceva di amarti… mai, neanche per un minuto. E… cosa? Cosa stai dicendo? Non capisco… dici che avevo ragione …Sì, avevo ragione. E… no, non piango Irene, è il sollievo… tipo quando una folata di scirocco scioglie il ghiaccio in cima alla montagna… no, io non sto in cima alla montagna… sto in trincea… da tanti di quegli anni… sto da decine e decine di anni in mezzo ai pidocchi… in trincea… occupata ad avere pressoché ininterrottamente ragione. E … niente… vorrei che qualcosa cambiasse.

Non avere più… ragione da sola. È troppo faticoso. Non essere più, forti in poche… Si rischia troppo. E poi non serve a niente… Vorrei … Essere forti in tante. Tutte. Forse…

Tratto da: http://www.senonoraquando-torino.it/

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