Intervista a Francesco Gesualdi, di Duccio Facchini.
Nel 1996 usciva la prima “Guida al consumo critico” realizzata dall’allievo di don Milani e fondatore del Centro nuovo modello di sviluppo. Uno strumento prezioso per costruire un’economia radicalmente alternativa al “mito” della crescita”. A chi si rivolgeva e dove è andato a finire quel “mondo”...
Venticinque anni fa usciva la prima “Guida al consumo critico” realizzata da Francesco Gesualdi, allievo di don Lorenzo Milani a Barbiana e fondatore nel 1985 a Vecchiano (PI) del Centro nuovo modello di sviluppo (e di Altreconomia nel 1999). Un binocolo per scrutare l’orizzonte di un’economia radicalmente alternativa rispetto al mito salvifico della crescita. Uno strumento utile per chi c’era allora e per chi è arrivato dopo.
Francuccio, partiamo dal “contesto” del 1996. Come lo descriveresti?
FG Un mondo pieno di problemi, proprio come quello di oggi. Non è cambiato molto, se non in peggio, rispetto alla necessità del consumo critico e della guida stessa. All’epoca denunciavamo i problemi sociali e ambientali, con un occhio particolare alle relazioni Nord-Sud. Un’attenzione che oggi è sfumata, purtroppo, anche se come dicevo i problemi non sono esauriti ma per certi versi esacerbati.
Dove è sfociato quel mondo?
FG A Genova, nel 2001, nelle grandi manifestazioni che chiedevano un mondo più equo. Per cambiare i meccanismi economici, sociali, commerciali. Ricordo la centralità del debito, tema poi “esploso” pochi anni più tardi. Noi eravamo già lì, avevamo messo a fuoco i problemi. La Guida voleva proporre alle persone che non stavano nella stanza dei bottoni un modo per dare il proprio contributo per aggredire il fenomeno.
Quale fenomeno?
FG Un sistema organizzato solo per le grandi imprese multinazionali, presentate da sempre come uniche artefici dello “sviluppo”. E che invece hanno portato e portano a disastri ambientali e sociali. Ecco allora la questione centrale: visto che con loro abbiamo un rapporto quotidiano, anche contro la nostra volontà, perché non utilizziamo questa relazione e le condizioniamo? Non le costringiamo a comportarsi in maniera diversa?
Anche in altre occasioni hai parlato di un “fiore che sboccia”.
FG Sì. Quella visione, quella analisi internazionalista delle cause degli squilibri, era comune a vari Paesi del mondo. È come se da più parti del Pianeta fosse cresciuta la consapevolezza che dovevamo focalizzarci sul comportamento delle imprese e dunque usare la nostra forza per fargli cambiare strada. Erano anni nei quali rispetto a oggi la maturità politica era più alta e la sensibilità più diffusa. Erano gli anni della costruzione del commercio equo e solidale, dell’attenzione al consumo e al risparmio. Allora si facevano i tentativi per costruire Banca Etica, era viva l’attenzione a come le scelte quotidiane potessero contribuire a costruire mondo nuovo e diverso. Anche sotto il profilo dell’informazione erano tempi in movimento (Altreconomia è nata nel 1999, ndr). L’informazione era fondamentale per colmare le lacune, dare le informazioni, sanare le frustrazioni. Ecco perché la Guida era ricca di indagini, di schede. Si dava la possibilità di fare delle scelte. Volevamo che la guida fosse “operativa”.
È una dinamica complessa.
FG Senza dubbio. Man mano che andavamo avanti abbiamo capito che i consumatori responsabili non erano più solo interessati alla storia del prodotto o al comportamento delle imprese (aspetti pur primari del consumo critico). Per essere davvero dei costruttori di un mondo più equo, vista la crisi ambientale già in atto allora, toccava mettere in discussione il “quanto” si consumava. Ecco quindi il passaggio dal consumo critico ai nuovi stili di vita. Ciò che compro cerco di fare in modo che abbia una storia pulita, così come per le imprese, e mi pongo la domanda del quanto devo consumare. Non più solo la qualità ma anche il “peso” del consumo, per i suoi impatti sulle risorse, sui rifiuti, sulle esigenze di equità dei popoli.
Prima dicevi che quella consapevolezza è sfumata. Sei critico su quel “movimento”, oggi?
FG Una generazione se ne sta andando, una generazione che ha vissuto un sogno. Il fatto di non avere solo il capitalismo come sistema ma anche il socialismo, con tutte le sue contraddizioni, era la dimostrazione che non è vero che questo è l’unico possibile. “Non ci sono alternative”, disse Margaret Thatcher. Ecco chi è venuto dopo di fatto si è trovato in un unico sistema “vincente”, con le alternative che erano già miseramente crollate. E tutto ciò ci ha indotto a pensare che si dovesse scendere a patti con il capitalismo, in un’ottica meramente riformista, a proposito di un’altra categoria si è fatta da parte. Le nuove generazioni non hanno vissuto il tempo dell’alternativa, del sogno di uscire dal sistema per costruire qualcosa d’altro. Manca l’utopia, osservo i giovani molto appiattiti sulla logica mercantile.
Non credi che lo spirito della Guida sia invece necessario e “ricercato” anche oggi?
FG Non lo so. Trovo che sia un po’ latente un fronte comune che voglia offrire una soluzione collettiva ai problemi. Fioriscono le posizioni individualiste, anche molto positive, quando invece dall’oppressione se ne esce insieme, per citare la “Lettera a una professoressa” di Don Lorenzo Milani. Oggi non troviamo vere soluzioni, oltre ai comportamenti individuali, di visione e di sistema. Perché il sistema è orientato alla crescita. Mentre la natura ci manda a dire che la crescita è impossibile noi non siamo attrezzati per fare i conti con il senso del limite. Veniamo da un’altra esperienza. Mi ripeterò ma siamo troppo orientati a moralizzare il sistema. E non a cambiarlo.
Ti riferisci a qualche “realtà” in particolare?
FG Ognuno è andato un po’ per conto proprio: il commercio equo, la finanza etica, il consumo critico. È una grande sconfitta. Non ci ha permesso di diventare massa critica che potesse aspirare a diventare proposta di alternativa al sistema. Ci siamo limitati a fare proposte settoriali e poco più. Non siamo riusciti a mantenere collegamento e a fare il salto. Della visione del Novecento ho nostalgia del voler lottare e darsi da fare per costruire società alternativa. Della salvezza individuale non so che farmene. È limitante.
Ci salverà una Guida al consumo critico a forma di app?
FG Sarebbe interessante il confronto con la trasformazione tecnologica. Anche se noto un difetto legato alla frettolosità imposta dallo strumento. Noi non volevamo allora dare delle “pagelle”, dire lui è buono, lui è cattivo. Perché così i consumatori si sottraggono alle loro responsabilità. Figurarsi oggi. La caratteristica che la Guida ha sempre avuto era chiarire al lettore-consumatore che noi non facevamo il “tuo” lavoro. La scelta è “tua”, io ti fornisco le informazioni. Ma la sensibilità, la coscienza, è bene che ognuno ce l’abbia. Mi hai fatto venire in mente delle cose che abbiamo sempre consigliato ai Gruppi di acquisto solidale: fatela voi la vostra “Guida al consumo critico”. Praticate la ricerca. Si parte da lì per cambiare il sistema.
“Per una radicale conversione ecologica” è il titolo della postfazione di Francesco Gesualdi al nuovo libro di Altreconomia “Che cos’è la transizione ecologica”
Tratto da: https://altreconomia.it/lorizzonte-del-consumo-critico-25-anni-dopo-la-prima-guida-intervista-a-francesco-gesualdi/