di Paolo Cacciari.
Essere contadini significa non fare differenza tra ciò che si produce per sé e ciò che si vende.
Essere coltivatori significa rispettare la terra, non dipendere dal mercato.
Ritornare alla terra è un modo di vivere molto libero e di pensare molto anarchico, che piace sempre di più ai giovani.
Non sarà un caso che l’unico settore in cui l’occupazione aumenta è il biologico ...
Alcuni di loro hanno cominciato a riconoscersi e ad uscire dalle loro piccole tenute. Da alcuni anni organizzano incontri nazionali. Si sono dati un bel nome, “Genuino Clandestino”, un sottotitolo, “Comunità in lotta per l’autodeterminazione alimentare”, e un logo, che è un maialino con una benda da pirata sull’occhio (http://genuinoclandestino.noblogs.org). Dall’1 al 3 novembre si sono incontrati a Firenze, prima con un’occupazione simbolica in una tenuta abbandonata di proprietà della Provincia nel comune di Bagno a Ripoli, poi in assemblea al centro sociale nEXt Emerson.
Sono decine di gruppi che verranno da tutta Italia: “Campi aperti” (Emilia), “Mercatobrado” (Umbria), “Ragnatela resistente” (Campania), “Terre in moto” (Lombardia), “Terra bene comune” (Toscana), “Coltivar condividendo” (Veneto), Ccampo (Viterbo), “Terra Terra” (Roma) e tanti altri, dalla Sicilia alla Val di Susa. Non chiedono nulla. Solo di essere lasciati in pace, cioè, di non sottostare alle normative vessatorie che regolano la produzione e la commercializzazione del cibo industriale e che risultano assurde se applicate alle piccole aziende a conduzione familiare. Rivendicano la possibilità di instaurare un rapporto diretto e fiduciario con i loro clienti (preferiscono chiamarli co-produttori), famiglie e gruppi di acquisto. Soprattutto, sono consapevoli che se vogliamo salvare il pianeta il futuro è loro.
Scrivono nel manifesto di Genuino Clandestino: “le agricolture contadine tutelano la salute della terra, dell’ambiente e degli esseri viventi, a partire dall’esclusione di fertilizzanti, pesticidi, diserbanti e organismi geneticamente modificati”. Solo le coltivazioni contadine riescono a custodire le varietà locali dei semi. Cercano, quindi, di costruire una “alleanza fra movimenti urbani e movimenti rurali” sul tema della sovranità alimentare, ovvero, sul “diritto al cibo genuino, economicamente accessibile e locale”. Quest’anno hanno aperto la campagna “Terra Bene Comune” (http://terrabenecomune.noblogs.org/) di sensibilizzazione dell’opinione pubblica per la coltivazione di terre abbandonate e contro la svendita delle terre demaniali.
Il decreto “Salva Italia” (sic!) dello scorso anno prevede infatti la privatizzazione di 360 mila ettari attraverso la Cassa Depositi e Prestiti. Ciò renderà ancora più difficile l’accesso alla terra di quanti vogliono intraprendere progetti di “neo-ruralità” e mette persino in pericolo l’attività degli attuali fittavoli.
Tratto da: http://comune-info.net/2013/10/genuino-clandestino/
Paolo Cacciari (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.) ha lavorato all’Unità ed è stato più di un semplice collaboratore del settimanale Carta. Consigliere comunale e assessore a Venezia per vari periodi, attualmente collabora con la Rete per la Decrescita con cui è stato tra gli organizzatori della terza conferenza internazionale sulla decrescita (Venezia, 2012). Tra le sue pubblicazioni Pensare la decrescita. Sostenibilità ed equità, Carta e Intra Moenia, 2006. Il comune non pensa solo all’immondizia, in: Cambieresti? La sfida di mille famiglie alla società dei consumi, i libri dell’Altreconomia, 2006. Decrescita o barbarie, Carta, 2008, ora disponibile gratuitamente su decrescita.it, e con altri La società dei beni comuni, Ediesse, 2011.
Questo articolo è stato pubblicato anche su Left.