di Massimo Mortarino.
Nome: Decrescita. Cognome: Felice. Mission: Salvare l’umanità; Segni particolari: Nemica del PIL...
Tardo pomeriggio di domenica 24 febbraio, al “Diavolo Rosso” di Asti, associazione senza scopo di lucro che offre spettacolo, arti e cultura: sul palco Maurizio Pallante, l’ideologo della “Decrescita Felice”, autore di vari libri su questi temi, tra i quali “La Decrescita Felice: la qualità della vita non dipende dal PIL”.
Tanto basta per attirare l’interesse di un “qualunque qualunquista ...” come il sottoscritto, oltre a quello di un folto pubblico, di varia provenienza sociale ma accomunato da un generale interesse per i temi “sostenibili” di attualità.
Ma chi è questa “signora” Decrescita, nata con presupposti etimologici tutt’altro che rosei ma proiettata verso un’esistenza pienamente appagante, forse perché maritata a una ipotetica quanto improbabile felicità...?
Prima di indagare su questo punto, Pallante ci offre una rapida immagine del PIL (Prodotto Interno Lordo), quell’indice economico che pare regolare i destini del mondo intero, ispirare ogni azione dei governi, condizionare la vita di tutti noi. Il PIL è un indicatore monetario (indicatore di benessere...?), che non misura i beni bensì le merci.
Cosa significa tutto ciò, in termini pratici?
Che esistono beni che non sono merci e viceversa.
Che se un bene non passa attraverso lo scambio monetario, non rientra nel PIL.
Già, ma questo cosa può riguardare con la nostra vita di tutti i giorni?
Pallante propone un esempio pratico, quello di un comune cittadino che viene a disporre di un pezzo di terra e inizia a coltivare pomodori, con metodi e prodotti rigorosamente biologici, quindi senza utilizzare sostanze dannose per l’organismo e per l’ambiente. E ne produce una discreta quantità, sufficiente a soddisfare il fabbisogno della sua intera famiglia, naturalmente di ottima qualità, sapore, contenuto vitaminico.
Bene, questo signore “non fa crescere il PIL”, anzi! Sì, perché non acquista più pomodori presso chi li commercia, fa calare il consumo di anticrittogamici e fertilizzanti chimici, non passa attraverso lo scambio monetario...
Insomma, ci troviamo di fronte a uno dei tanti casi in cui al nostro benessere, alla nostra felicità non corrisponde una crescita economica.
Paradossale ma a prova di bomba!
Così come un altro esempio fornito da Pallante, relativo al consumo di combustibili per riscaldamento. In certe abitazioni si consumano 20 litri di gasolio per metro cubo, mentre le nuove normative europee prevedono la soglia massima di 7 litri per metro cubo. Anche un imbecille intuirebbe che è necessario tendere a ridurre i consumi, non solo per ridurre i costi ma, soprattutto, per diminuire le emissioni inquinanti (alle prese con una qualità ambientale sempre più drammatica) e il depauperamento delle fonti energetiche non rinnovabili (petrolio, gas).
Eppure, se ottenessimo tale risultato, faremmo crollare il PIL (consumi di gasolio: - 65%)! Saremmo certamente “felici”, perché per ottenere l’abbattimento del consumo di gasolio dovremmo operare seri interventi migliorativi sulla nostra abitazione, sia a livello strutturale sia impiantistico, e probabilmente finiremmo per consumare il 65% in meno godendo di una temperatura, umidità, comfort ottimale...ma faremmo crollare il PIL!!!
Ciò significherebbe anche la riduzione dei posti di lavoro? Pensiamo ai dipendenti delle industrie della filiera petrolifera e alle loro famiglie: milioni di persone ridotte alla fame...
Salvaguardando l’ambiente e le fonti energetiche, dunque, affosseremmo l’economia mondiale.
Ma Pallante non ci sta e fa presente che ridurre il consumo di gasolio per riscaldamento del 65% ci obbligherebbe a sviluppare e adottare nuove tecnologie, creando grande occupazione a tutti i livelli.
Quindi, secondo lui, la crescita non crea occupazione: andiamo a raccontarlo, ad esempio, a Berlusconi e a Veltroni (Pallante, probabilmente, ci ha provato, penso con scarsissimi risultati...), che proprio in questo inizio di campagna elettorale stanno presentando programmi tutti incentrati sullo sviluppo economico...
Ma Pallante motiva tale affermazione, in palese controtendenza con le teorie economiche: anni fa lavorò nei dintorni di una grande azienda che produceva lampadine, che ogni anno registrava un incremento delle quantità prodotte a fronte di un calo degli occupati (l’automazione produttiva e gestionale riduceva la necessità di forza lavoro). Altro caso, più ameno: i “Babbo Natale arrampicatori”, che da qualche anno popolano i balconi delle nostre case nel periodo invernale, pur simpatici, non servono a nulla...ma fanno aumentare il PIL e l’occupazione!
Tornando al riscaldamento degli edifici, per realizzare la casa in grado di consumare non più di 7 litri di gasolio al metro cubo è necessario un massiccio apporto tecnologico, ma si parla di una tecnologia completamente diversa da quella tipica della “crescita”, che è mirata solo ad aumentare la produttività e consuma risorse, crea tristezza e devastazione negli esseri umani, convinti a sperperare i loro averi per comprare cose sempre nuove, aumentando i rifiuti, depauperando le fonti energetiche, ecc.ecc.
La decrescita, secondo Pallante, rappresenta l’unica soluzione per creare occupazione nei paesi sviluppati. E la “tecnologia della decrescita” costituisce una indispensabile innovazione mirata a ridurre i consumi energetici, aumentare il rendimento dei materiali, ridurre la quantità di rifiuti prodotti, abbattere le emissioni inquinanti per ogni unità di prodotto.
Ma fa anche diminuire il PIL, porcaccia la miseria!!!
E allora occorre costruire un nuovo paradigma culturale, fondamentalmente diverso da quello che da tanto tempo domina il mondo: società fondata sulla produzione di merci, che ha bisogno di creare negli esseri umani le necessità di disporre di quelle merci e lo fa a partire, ad esempio, dal mondo della scuola...
Le città, per Pallante, sono veri e propri “luoghi di aberrazione”, dove la gente deve comprare tutto perché non sa fare più nulla e dove sono sufficienti due giorni di sciopero degli autotrasportatori per provocare il panico. Se esistesse ancora la famiglia patriarcale, allargata, non avremmo bisogno di comprare tutti i servizi di cui necessitiamo, quindi di portare nostro figlio al nido a tre mesi di vita, di ricorrere a istituti o a badanti per i nostri anziani non più autosufficienti, e così via.
Se dobbiamo comprare tutto, i nostri rapporti umani sono basati sullo scambio di denaro e, quindi, destinati a peggiorare continuamente sotto il profilo dei valori sociali.
Per comprare tutto, occorre lavorare di più per guadagnare il denaro necessario; dunque si riduce il tempo a nostra disposizione per “essere felici”...
Pallante cita un passo di un recente programma politico, che mira ad estendere gli orari degli asili nido alle 19,30: fantascientifico o totalmente imbecille...?
Ma torniamo all’autoproduzione, di cui finora si è appena accennato, che ovviamente non può soddisfare “tutti” i bisogni ma può consentire un netto miglioramento delle nostre condizioni di vita. Pallante pensa a una situazione nella quale aumentano gli “scambi” e diminuisce la necessità di denaro, provocando l’aumento della solidarietà umana, la diminuzione del tempo dedicato al lavoro e l’aumento di quello da utlizzare per se stessi e i propri familiari, amici, ecc.
Le dimensioni spirituali e relazionali, secondo Pallante, sono gli “unici” valori giusti della vita umana. Al bando, dunque, il termine “consumatore”: consumo ciò che mangio, il resto lo “uso”... E via libera, ad esempio, alla filiera corta, che può ridurre i consumi energetici, abbattere i costi di intermediazione, migliorare i rapporti umani, incrementare le conoscenze del territorio, della sua storia, dei suoi valori...
Se si recupera tale dimensione, i costi (anche sociali) si abbattono nettamente, aumenta la qualità della vita e...crolla il PIL!
Il progresso non deve essere misurato sulla capacità di comprare: diminuire il tempo dedicato al lavoro significa dedicarsi maggiormente alla riscoperta dell’interiorità, ai rapporti familiari, alla solidarietà, all’arte, cultura, sport, ecc.
Ma parliamo un po’ di “politica”, indispensabile per diffondere e affermare su larga scala ogni nuova teoria sociale. Pallante ne è conscio (è stato consigliere del ministro dell’ambiente Pecoraro Scanio nel recente governo Prodi ma, a quanto mi risulta, i suoi progetti sono stati sistematicamente riposti nel cassetto dove si tengono le cose non necessarie...) e, a esplicita domanda, risponde che i concetti della “decrescita felice” verranno cavalcati dalle liste civiche che risulteranno dai “meet up” di Beppe Grillo.
Un po’ poco, forse, rispetto alle legittime aspettative di qualunque cittadino, che vorrebbe tempi più rapidi per passare massicciamente a difendere il nostro habitat, la qualità della propria vita. Certo se Bush (o, nel nostro, piccolo, Berlusconi o Veltroni) promuovesse direttamente la “decrescita felice”, con piani di sviluppo e informazione/formazione organici e capillari, sarebbe un’altra storia, ma ciò è pura utopia, fantascienza...
Quindi, per il momento, possiamo provare individualmente (o in minimi gruppi d’avanguardia, come i GAS – Gruppi di Acquisto Solidali) a sperimentare in piccolo questi nuovi paradigmi, cercando di fare la nostra parte per salvaguardare l’ambiente e le fonti energetiche, per ridurre i consumi aumentando il nostro benessere.
Aumentare il benessere riducendo i costi: mission impossible...?
Si direbbe proprio di no, alla luce di quanto è emerso dall’incontro con Pallante.
Qualche sera fa mi è capitato di assistere in TV a uno spot pubblicitario della Beghelli, nel quale l’omonimo proprietario presentava un’offerta dell’azienda emiliana ad aziende manifatturiere italiane di media/grande dimensione: sostituzione di tutte le lampadine presenti nei locali aziendali con altre a basso consumo, in grado di portare un risparmio di energia superiore al 50%, “a costo zero” iniziale. Sul risparmio annualmente ottenuto (misurato da un apposito apparecchio fornito sempre dalla Beghelli), la maggiore percentuale andrebbe alla società fornitrice, fino a saldare il costo della fornitura iniziale, e la parte restante nelle tasche dell’azienda cliente. Come dire: nessun costo e, addirittura, un ricavo, sempre più elevato nel tempo! L’uovo di Colombo, che presuppone l’investimento, da parte di chi offre il servizio, di un grande capitale iniziale, per poi fare soldoni negli anni a venire... (è il principio delle ESCO, le Energy Saving Corporation). Certo che la singola azienda potrebbe guadagnare di più se, autonomamente, provvedesse a dotarsi di sistemi di risparmio energetico, ma questo presupporrebbe, oltre a un certo capitale da investire inizialmente, il rischio di non acquisire le soluzioni più efficaci, a causa della scarsa competenza in materia.
Questo esempio concreto non è pienamente in linea con la “decrescita felice” allo stato puro (siamo sempre in presenza di “denaro in più”, derivante dal risparmio ottenuto dalla singola azienda e dai futuri utili della Beghelli, che presumibilmente non verrà distribuito fra tanti esseri umani per aumentare il loro benessere...), ma può rappresentare una valida possibilità di compromesso con la “PIL Economy”, che magari potrebbe diventare un “modello” per aziende di tanti altri settori.
In attesa che la Felicità della signora Decrescita possa essere raccontata a milioni, miliardi di persone, pronte ad ascoltarla e a sviluppare il suo modello in modo concreto, sostenibile e...inattaccabile da parte dei grandi burattinai del sistema mondiale...