Il Parlamento europeo sta discutendo un importante argomento: le grandi multinazionali del biotech hanno infatti chiesto di poter brevettare il nostro cibo quotidiano. Davvero: non stiamo scherzando.
Ed è un tema molto delicato, perchè non siamo più (soltanto) di fronte alla volontà di qualche potente colosso agroindustriale che richiede brevetti su sementi modificate con le tecniche della transgenesi (i famosi OGM). No, è ancora peggio ...
Ce lo spiega Carlin Petrini attraverso un chiarissimo articolo pubblicato sul quotidiano "La Repubblica": «Facciamo un passo indietro: la questione dei brevetti è questione complessa, che inizialmente - ovvero quando i brevetti stessi vennero ideati - doveva riguardare le “invenzioni”, quindi cose utili, nuove, che potevano essere riprodotte con un processo descrivibile. All'inizio questo riguardava solo le invenzioni industriali e tutto filò liscio. Ma all'inizio degli anni Ottanta un ricercatore americano ottenne il primo brevetto su un batterio, ovvero su un organismo vivente, da lui geneticamente modificato, in grado di degradare le molecole di petrolio grezzo e quindi di bonificare aree inquinate.
Da qui derivò la possibilità per i produttori di Ogm di brevettare le sementi, e dunque il divieto per gli agricoltori di riprodurle secondo i metodi tradizionali, e l'obbligo ad acquistare le nuove sementi ad ogni stagione».
Ma la situazione, ora, si fa ancora più complessa: le multinazionali del biotech vogliono di più. E Petrini ci aiuta a capire meglio partendo da un caso concreto: «Parliamo di broccoli. Il broccolo è una pianta naturalmente ricca di molecole con proprietà anticancro che si chiamano glucosinolati e allora un'azienda ha studiato il genoma dei broccoli per capire in quali condizioni le concentrazioni di glucosinolati risultano maggiori. Ha così scoperto che i broccoli contengono più glucosinolati quando hanno un determinato assetto genomico e che, selezionando la piante migliori e incrociandole con metodi tradizionali, è possibile ottenere una pianta con l’assetto desiderato. Complicato, vero? Sì, complicatissimo. Infatti hanno brevettato questa scoperta, perché il procedimento lo hanno inventato loro e ne sono orgogliosi. Ma tutto ciò non era sufficiente.
Perché invece i broccoli, con i loro glucosinolati, non li hanno inventati loro e quindi se un altro ricercatore, o un agricoltore evoluto, decide di misurare i glucosinati che ci sono in un broccolo, con un procedimento chimico, e poi incrociare tra loro – sempre con sistemi tradizionali - solo quelli con i tassi più alti, ottiene per un'altra strada quello che i primi hanno ottenuto studiando i DNA».
E le multinazionali cosa hanno allora pensato di fare ? Molto semplice: hanno pensato di chiedere i brevetti di tutti i broccoli che possiedono quel determinato livello di glucosinolati che loro sono riusciti a ottenere in laboratorio.
Non è un brevetto sul procedimento, né sulla molecola, né sui semi. Ma proprio sui broccoli, quelli che noi tutti acquistiamo e di cui ci cibiamo.
Dice ancora Petrini: «siccome l'idea di un broccolo con un'alta concentrazione di glucosinati è loro, allora brevettano l'idea, il pensiero che esista questo broccolo».
Questi sono i termini della discussione che ha investito l'ufficio europeo dei brevetti (European Patents Office) e il pericolo in atto. Perchè significa, dice ancora Petrini, che «se tutto - non solo le cose, ma anche le qualità delle cose - diventa “di qualcuno”, allora tutto costerà di più. Perché i brevetti costano. E non costerà di più solo fare ricerca e migliorare le varietà a nostra disposizione, ma costerà di più anche fare la spesa, perché prima o poi questi costi ricadranno da qualche parte»: nelle nostre tasche, ovviamente.
«Le società di capitali hanno capito già da un pezzo e molto bene quello che la politica stenta a vedere. Se c'è un bene “durevole” la cui domanda non può cadere, perché i consumatori non possono decidere di farne a meno, è il cibo. Una saggia politica partirebbe da qui per capire che i consumatori sono prima di tutto cittadini e che ogni politica che non si basi sulle esigenze alimentari (e dunque di salute, ambiente, educazione, giustizia...) dei cittadini è una politica miope e dannosa».