Miseria e Nobiltà: come trasformare in ricchezza la marginalità e l'Italia minore

Imagedi Vittoria Brancaccio, Presidente nazionale di Agriturist.

Nell'autunno scorso, i dirigenti e gli associati di Agriturist hanno dedicato tre giorni di lavoro per il loro Forum Nazionale dedicato a "L’agriturismo tra opportunità e limiti di sviluppo: riscoperta, tutela e valorizzazione delle risorse dimenticate e maltrattate". Qui è cominciato un percorso con l’obiettivo di arrivare a ridisegnare l’agriturismo dei prossimi anni, quello che dovrà rappresentare una unicità mediterranea per l’Europa e i Paesi extraeuropei, che dovrà evidenziare al massimo le sue peculiarità e difendere i contesti culturali, paesaggistici e produttivi nei quali si trova ad operare ...

Il Forum ha voluto suscitare una riflessione sulla specificità e sul rilievo imprenditoriale e culturale dei nostri associati, le cui aziende possono rappresentare, con sempre maggiore incisività, un importante nodo territoriale, crocevia tra il mondo degli agricoltori, dei viaggiatori, di quelli che nel trasformare le innumerevoli pregiate produzioni agricole del nostro Paese, le caricano di suggestioni e di appeal. Nel far questo se ne fanno portavoce  in ambiti sociali con i quali  un tempo la residuale agricoltura delle terre dell’osso mai avrebbe osato entrare in contatto!

Perchè il nuovo agricoltore, ridisegnato dal decreto di orientamento del 2001, è una figura colta, che ha relazioni con altri settori, anche con quelli del mondo delle città e che all’interno del suo mondo agricolo fa parte di reti complesse: è una figura che abita il territorio e ne ha cura, perché sa che questa cura è funzionale ad attivare le finalità sociali, culturali, formative e di ospitalità della azienda agricola. Egli ha nel suo DNA il concetto di sostenibilità, e conosce a fondo la differenza sostanziale tra questa e la sopportabilità.

E’ infatti consapevole che l’ambiente che lo circonda non è una bestia da soma, e che non lo si può schiantare sotto un peso eccessivo, come era ben noto agli agricoltori antichi ed agli indiani d’America.

Sa bene che “il territorio non è un asino”!

E che non lo si può parassitizzare, o “sfruttare”, ma che l’unico rapporto sano è quello simbiotico, che ha alla base reciprocità e rispetto.

L’azienda agricola del futuro - come afferma Alberto Magnaghi in un saggio dal titolo “Il progetto locale” - è più simile (in chiave laica) all’Abbazia Cistercense che a una semplice fabbrica di produzione merci”.

Nei momenti bui come quello che stiamo vivendo bisogna dunque ritornare ad aver fiducia nella forza delle idee. E’ importante provare a riformulare le parole chiave che regolano la definizione e la comunicazione delle nostre attività.

Nel Forum autunnale di Agriturist si è quindi concretamente tentato di comprendere quali azioni formative, imprenditoriali, culturali e politiche far seguire a questi momenti di riflessione.

Ripensare lo sviluppo oggi significa ripensare alle risorse che abbiamo e all’uso che ne facciamo.

Molte aziende agrituristiche italiane abitano e animano territori marginali, e cercano di trasformare questa  marginalità in opportunità: esempi di successo, come quello delle Cinque Terre, di alcuni piccoli Comuni che, partendo dal basso, cominciano ad adottare comportamenti virtuosi, iniziano a moltiplicarsi e rappresentano un importante volano di sviluppo culturale.

E’ interessante notare, consultando le più importanti guide gastronomiche, che la più alta concentrazione di “stelle” e “forchette” si trova nei piccoli centri, e che questi chef pluridecorati hanno fatto della rivisitazione dei prodotti locali il loro punto di forza.

Ma al di la delle grandi individualità dei grandi chef molte ricette si sono consolidate nel rispetto della stagionalità, e l’anima degli abitanti e degli agricoltori la ritroviamo nel piatto, fonte di ispirazione dei pluristellati, ma oggi opportunità irripetibile per una ristorazione agrituristica che deve avere il coraggio e la capacità di scegliere i piccoli numeri e la caratterizzazione di alta qualità.

Dove anche un semplice piatto, frutto di studio, attenzione, conoscenza tramandata, con i suoi ingredienti irripetibili nel tempo e nello spazio, rappresenta un distillato della storia, un’emozione multisensoriale, un elemento della nostra cultura materiale.

Un vasto “museo diffuso”, con le sue pievi romaniche asimmetriche nella campagna pistoiese, con i Pontormo nelle cappellette sperdute, con il museo di Leonardo a Vinci e il piccolo capolavoro del Museo dell’Olio di Farfa, in Sabina, con il piccolo Antiquarium di Boscoreale, quello naturalistico di Corleto Monforte negli Alburni, il Museo del Giocattolo povero di Massicelle di Montano Antilia, quello della civiltà contadina di Ortodonico, la riserva biologica di Morigerati con i musei della civiltà contadina e della cera, in Cilento, costella le nostre campagne e rappresenta, con i suoi luoghi al di fuori dei grandi e cannibaleschi flussi turistici che divorano le nostre città d’arte, una straordinaria potenzialità di rivitalizzazione dei territori in cui operano le nostre aziende agrituristiche: esso deve essere comunicato ai nostri ospiti, glielo si deve offrire come una gemma preziosa insieme allo stimolo che possiamo fornire a ridiventare tutti un po’ meno distratti e un po’ più viaggiatori. Molte di queste piccole delizie valgono spesso da sole il viaggio e il soggiorno.

La scommessa diventa allora per i nostri territori più poveri quella di fare della loro arretratezza, dell’oblio in cui sono caduti, una verginità sulla quale costruire il percorso di allontanamento dalla miseria e di approdo alla nobiltà di uno sviluppo costruito non sulla quantità di merci, ma sulla cura, sulla cultura e sulle relazioni.

Il territorio è un’opera d’arte: forse la più alta, la più corale che l’umanità abbia mai espresso … e nasce dalla fecondazione della natura da parte della cultura” (Alberto Magnaghi).

 

Bibliografia

Alberto Magnaghi, “Il progetto locale”, Bollati Boringhieri, Torino, 2000

Edoardo Salzano, “Qualche parola per il territorio”, www.eddyburg.it 9.05.2009

Marco Boschini e Michele Dotti, ”L’anticasta. L’Italia che funziona”, EMI, 2009-05-19

Antonio Paolucci, “Così il Museo Diffuso potrà creare lavoro”, Corriere Lavoro,  6.06.2003

Luca Baldin “Museo diffuso ed ecomuseo-analogie e differenze”, www.eddyburg.it

 

Links utili

www.agriturist.it

www.eddyburg.it

www.comunivirtuosi.org

www.territori.formez.it

www.reteleader.it

 

 

 

Il Patrimonio dell’Italia “minore”: i numeri del museo diffuso (dati TCI)

4000 musei

2000 siti archeologici

40.000 rocche e castelli

30.000 dimore storiche

4.000 giardini storici

95.000 chiese 

1.000 centri storici di elevato pregio

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