A cura di ARI-Associazione Rurale Italiana.
Anche in Italia come nel resto d’Europa assistiamo da qualche giorno ad una mobilitazione degli operatori del comparto agricolo.
All’interno di questa compagine multiforme non ci sono soltanto gli agricoltori classici che coltivano il proprio appezzamento di terra più o meno grande, ma anche moltissimi contoterzisti che sono la nuova formula con cui le grandi aziende si liberano dei braccianti e pagano ditte esterne per fare i lavori...
Parliamo di realtà molto diverse: da una parte, produttori che coltivano i propri terreni; dall’altra, operatori, anche ex-contadini, che attraverso investimenti importanti si sono costruiti una flotta di attrezzature che permette loro di andare a coltivare terreni di altri.
Questa differenza va fatta perché, se i primi sono colpiti da anni da questa crisi fatta di aumenti dei costi di produzione e diminuzione dei prezzi pagati alle aziende – sempre meno remunerativi – i secondi vengono colpiti indirettamente perché ci saranno sempre meno terreni coltivati. Inoltre, sia coltivatori che contoterzisti vengono impattati dall’aumento delle accise sul gasolio poiché i costi delle lavorazioni aumentano.
Complica la situazione il ripensamento continuo della Politica Agricola Comunitaria (PAC), via via modificata dall’intervento dei rappresentanti degli Stati Membri, con un timidissimo tentativo di proporre modalità di coltivazione più sostenibili attraverso un arzigogolato sistema di “eco-schemi”, sistema che complica la vita dei produttori che richiedono gli aiuti della PAC a causa di estenuanti pratiche burocratiche.
A differenza dell’Italia, nel resto d’Europa sono le sigle sindacali a guidare le proteste, a volte in contrapposizione l’una all’altra. Ad esempio, la Confédération Paysanne in Francia si batte contro il governo ma differenziandosi dalla FNSA, sindacato maggioritario francese, legato ai produttori di grande e grandissima scala, che come i nostri neo-latifondisti hanno visto diminuire le proprie prebende.
Qui veniamo alla seconda peculiarità della protesta italiana. In Italia, nessun organizzazione agricola ufficiale è scesa in piazza e questo la dice lunga sulla connivenza e la complicità delle associazioni di categoria maggioritarie verso questo sistema di politica agricola che hanno contribuito a costruire anche grazie all’azione della loro rappresentanza a Bruxelles, il COPA. In Italia, vediamo quindi la nascita di comitati più o meno spontanei ed evocativi (Agricoltori Autonomi, comitati di resistenza agricola, etc.) che non hanno una storia radicata ma sono frutto di una esasperazione, e che sotto la bandiera della a-politica nascondono la mancanza di consapevolezza di quanto invece il nostro ruolo di contadinǝ sia profondamente politico: produciamo cibo.
Noi, contadinǝ di Associazione Rurale Italiana, che siamo parte del Coordinamento Europeo Via Campesina, partecipiamo in Italia e all’estero a questa mobilitazione con la convinzione che le nostre rivendicazioni verso le istituzioni locali, nazionali ed europee – che hanno una lunga storia consolidata – siano e debbano essere una presa di posizione assolutamente politica, per affermare ancora una volta che il modello legato al neoliberismo economico, alla rapina a danno delle risorse naturali (terra, acqua, fertilità, biodiversità), allo sfruttamento e all’auto-sfruttamento del nostro lavoro siano da sradicare; per affermare che non ci può essere un riscatto dell’agricoltura senza il riconoscimento e l’adozione del modello contadino agro-ecologico e solidale come modello di riferimento per le nostre campagne, essendo l’unico che può dare nel medio/lungo termine un reddito alle famiglie, cibo buono e di qualità per tuttǝ, anche chi è in difficoltà economiche, e una risposta ambientale alle sfide che ci pone il cambio del clima.
Per fare questo bisogna riformare alla radice la PAC e lavorare per la costruzione e la diffusione di un modello di agricoltura strutturalmente diverso; cancellare quindi il sostegno pubblico distribuito in base al numero degli ettari delle aziende; interrompere il flusso di denaro verso quella agricoltura che distrugge l’ambiente e la società; tornare ad investire nelle piccole/medie aziende agricole e rompere il monopolio delle organizzazioni agricole che non sono democraticamente elette come rappresentanti del nostro comparto all’interno delle istituzioni italiane ed europee.
Insieme a La Via Campesina, chiediamo la fine immediata delle negoziazioni sull’accordo di libero scambio con i Paesi del MERCOSUR e una moratoria su tutti gli altri accordi di libero scambio che impediscono la regolamentazione del mercato e il raggiungimento di prezzi giusti a chi produce.
Noi di ARI ci riuniremo a Roma nel fine settimana del 2, 3 e 4 febbraio per la nostra annuale assemblea e lì decideremo come muoverci nei prossimi mesi per continuare una lotta che portiamo avanti da 20 anni, quella per l’affermazione dell’agricoltura contadina agro-ecologica e solidale e per la sovranità alimentare. Una lotta che richiede consapevolezza, coraggio, persistenza e apertura al cambiamento perché una trasformazione radicale del nostro sistema alimentare non passa solo da fumo e trattori in strada.
Noi non fabbrichiamo cibo, noi lo produciamo! Pagare il lavoro, non gli ettari!