Se supercomputer e Intelligenza Artificiale avanzano permettendoci scoperte sensazionali sulle foreste mondiali, i boschi italiani indietreggiano a colpi di motosega.
di Roberto Cazzolla Gatti, Professore di biologia della conservazione e biodiversità presso Alma Mater Studiorum Università di Bologna.
Mentre col supporto di grandi database, supercomputer ed Intelligenza Artificiale facciamo sempre più luce sul ruolo, sul funzionamento e sulla complessità delle foreste globali, albero per albero stiamo trasformando i boschi italiani in semplici pezzi di legno utili solo a sfamare la bulimia energetica ed economica del nostro mondo moderno. Al contrario di quello che credono i più, ciò che aumenta non sono i boschi, ma la ricrescita arborea in aree agricole abbandonate. Un bosco, in realtà, non è un insieme di alberelli. Ciò che, invece, resta dei veri, complessi, antichi, biodiversi ecosistemi boschivi nazionali è posto sempre più sotto pressione da interessi economici di breve termine, visioni distorte della Natura e scelte politiche scellerate...
Senza la capacità di calcolo dei supercomputer e dell’Intelligenza Artificiale non avremmo mai potuto stimare il numero di specie arboree presenti sulla Terra (https://www.pnas.org/doi/10.1073/pnas.2115329119), non avremmo potuto facilmente determinare i fattori che favoriscono le invasioni di piante non autoctone, aspetto fondamentale per tutelare gli ecosistemi nativi e limitare la diffusione di specie invasive (https://doi.org/10.1038/s41586-023-06440-7) e non avremmo potuto rilevare che attualmente, il carbonio forestale globale è significativamente al di sotto del potenziale naturale, con un deficit totale di 226 Gt anche in aree con una bassa impronta ecologica umana e che questo potenziale si trova in aree con foreste esistenti, dove la protezione maggiore di questi ecosistemi (evitando le ceduazioni, ad esempio) può consentire alle foreste di recuperare fino alla maturità (https://doi.org/10.1038/s41586-023-06723-z). Infatti, lo sviluppo di sistemi di calcolo avanzati combinati all’I.A. permette di ridurre di decine di anni lo sforzo di migliaia di scienziati permettendo di ottenere delle previsioni attendibili. Grazie all’unione di mente umana e intelligenza artificiale, sappiamo ora che nel mondo quasi 9.000 specie arboree sono ancora da scoprire e molte rischiano di estinguersi ancor prima di essere trovate a causa della massiccia deforestazione in corso sul nostro pianeta. Quindi il nemico da battere, ancora una volta non è lo sviluppo tecnologico utile alla conoscenza, ma noi stessi e la nostra insaziabile crescita economica verso il baratro. Piuttosto che essere in lotta contro l’I.A. sino al punto da temerla, dovremmo continuare a utilizzarla per velocizzare e rendere più efficaci le strategie di conservazione.
A settembre di quest’anno, durante la conversione del Decreto-legge “Asset,” precedentemente focalizzato su un tema completamente diverso, è stato approvato dal governo italiano un emendamento presentato da Fratelli d’Italia che elimina completamente la protezione paesaggistica dei boschi nei confronti dei tagli, alterando il Codice Urbani e l’intento originario della legge Galasso, che miravano a proteggere i boschi nelle aree vincolate. Negli ultimi anni, la difesa dei boschi è stata oggetto di diversi attacchi da parte del settore forestale, delle aziende, dei politici locali e di alcune rappresentanze degli agronomi, nonché di una parte dell’ambiente accademico (si leggano, ad esempio, le assurde giustificazioni date alla necessità di gestione mediante “selvicoltura naturalistica” [un orrore in termini!] con combinazione di tagli precoci e tardivi delle foreste: https://ancler.org/gestire-le-foreste-per-obiettivi/). Ciò è avvenuto in contrasto con l’opinione prevalente di biologi, conservazionisti ed ecologi. Pian piano, le Regioni, in modo sregolato, hanno esteso il concetto di taglio colturale a ogni possibile trattamento selvicolturale, incluso il taglio a raso nei boschi cedui. L’obiettivo, come affermato nell’art. 5-bis del decreto, è chiaramente incentivare la filiera del legno, aumentare la concorrenza sui mercati esteri e garantire un maggiore approvvigionamento interno di legno, rallentando lo sviluppo degli ecosistemi forestali. Ciò comporta l’annullamento della conservazione della Natura, di primaria importanza costituzionale, a favore della crescita economica e riflette una tendenza a violare principi costituzionali per favorire gli abbattimenti boschivi, come già evidenziato dal Testo Unico per le Filiere Forestali (TUFF), che permette alle Regioni di imporre ai proprietari di tagliare i loro boschi.
Eppure, proprio di recente la Costituzione italiana è stata ampliata per includere la tutela dell’ambiente, degli ecosistemi e della biodiversità. Pertanto, simili provvedimenti andrebbero considerati totalmente anticostituzionali. Purtroppo, però, queste scelte politiche non possono essere imputate solo alla destra storicamente intenzionata alla crescita economica molto più che alla tutela dell’ambiente. Si tratta, invece, di scelte piuttosto trasversali che riguardano anche i governi di centrosinistra. Infatti, l’approvazione del controverso TUFF, ha interessato i principali partiti, con protagonisti che vanno dal PD alla Lega, a cui si sono uniti poi anche Fratelli d’Italia.
Nel 2021, con i miei colleghi, il Prof. Alessandro Chiarucci dell’Università di Bologna e il Prof. Gianluca Piovesan dell’Università della Tuscia, abbiamo scritto un accorato appello alla prestigiosa rivista Nature (https://www.nature.com/articles/d41586-021-01923-x) affinché non si continuasse a distruggere quel che resta dei boschi italiani. Nella lettera mettevamo in dubbio i piani di intensificare la raccolta di biomassa forestale, suggerita nel Quarto Rapporto sullo Stato del Capitale Naturale in Italia (https://www.mase.gov.it/pagina/quarto-rapporto-sullo-stato-del-capitale-naturale-italia-2021). Sostenevamo che, piuttosto che supportare una transizione verso un’economia verde, un simile incentivo potrebbe tradursi in un aumento dell’abbattimento degli alberi e nella perturbazione degli ecosistemi forestali. Incredibilmente, mentre si cercano soluzioni alla deforestazione mondiale, la perdita di alberi nelle foreste italiane negli ultimi anni è spiegata solo in parte da disturbi come la tempesta Vaia nel 2018 e la successiva raccolta del legname. La principale causa, invece, è proprio la produzione di legname (da trasformare poi in pellet, biomassa per le centrali, legna per stufe e camini), derivante principalmente da cedui andando a contribuire a circa il 50% della perdita arborea annuale dai boschi italiani.
Non è facile immaginare quanti tra accademici, politici, aziende forestali e persino associazioni ambientaliste ci hanno attaccato per aver preso posizione contro una politica cieca che vede nei boschi nostrani semplici magazzini di legname da sfruttare e non complessi ecosistemi da proteggere. Le nuove politiche nazionali sulla biomassa potrebbero minacciare pesantemente la funzionalità degli ecosistemi forestali sottovalutando gli impatti dovuti alla rimozione di quello che per i “forestali” è semplicemente legno da un bosco, ecosistema complesso secondo i “conservazionisti”, compromettendo il progresso verso la Strategia Biodiversità 2030 dell’Unione Europea che prevede un aumento della tutela della Natura entro 7 anni.
L’errore di fondo commesso da coloro che sostengono che le attività umane abbiano plasmato il paesaggio italiano, compresi i tagli dei boschi che sono parte integrante del paesaggio stesso, è che ignorano quello che un ecosistema boschivo/forestale davvero è, ovvero un insieme complesso e differenziato di specie interagenti e non una catasta di legno vivo da trasformare periodicamente in legno morto. L’attività umana nei secoli, in realtà, ha impoverito e danneggiato pesantemente i boschi, non li ha plasmati! Inoltre, la pressione moderna facilitata da quella tecnologia che, al contrario dell’I.A., è al servizio della distruzione dell’ambiente ha velocizzato e moltiplicato gli impatti sugli ecosistemi forestali.
Ovviamente, come al solito, è solo una questione di chi ci guadagna, perché a perderci è sempre la Natura. Con la decisione di modifica del decreto-legge di questo settembre, una parte del settore interessato alle biomasse legnose e dei dottori forestali certamente otterrà maggiore libertà d’azione sui boschi, che rappresentano uno dei più importanti patrimoni naturali italiani. Un patrimonio che non andrebbe mai definito “capitale naturale”, con quell’orrendo termine di neoformazione proveniente dall’economia che persino le associazioni ambientaliste hanno iniziato ad utilizzare dimenticando che, quando Karl Marx ci illuminava con il suo magnum opus Il Capitale, ci ammoniva sui rischi e i pericoli del capitalismo. Quello stesso capitalismo che dai beni materiali, attraverso la globalizzazione, ora è passato a coinvolgere la Natura col tentativo di mescolare le carte, per farci credere che lo sfruttamento “sostenibile” delle risorse naturali, il capitale naturale appunto di cui ormai si riempiono tutti la bocca, equivalga alla conservazione della biodiversità. Così come non andrebbe più omesso che il capitalismo è alla base dei mali del nostro mondo che va verso la rovina, dovrebbe essere ancor più chiaro che iniziare a definire la Natura “un capitale” significa consegnarla nelle mani dei boia, che invece della ghigliottina ora hanno in mano le motoseghe.
Roberto Cazzolla Gatti, Professore di biologia della conservazione e biodiversità, Alma Mater Studiorum Università di Bologna.