di Paolo Baldi.
In questi giorni freschi e di instabilità atmosferica spesso la finestra di casa è aperta sul cortile. Non c’è, da un po’ di tempo, la solita atmosfera: la campagna è silenziosa.
Per me, scappato in adolescenza da una Genova sempre più in decadenza, con il porto in espansione che si mangiava le belle spiagge bagnate da un mare pescoso, la campagna significava vita all’aria aperta, senza orari, circondato da una natura varia, rumorosa e ammaliante. Le colline offrivano un paesaggio variegato, essendo coltivate non esclusivamente a vigneto e noccioleto, con prati tagliati al momento giusto e un po’ di bosco governato. Di frequente usava ancora tra i contadini, per la scarsa meccanizzazione, lavorare fianco a fianco per la fienagione, il taglio del grano, la sfogliatura del mais e la vendemmia...
Ora una parte delle stesse colline sono tutelate (si fa per dire) dall’Unesco e per certi frammenti dal Parco Paleontologico; di anno in anno sono sempre più frequentate dai turisti che arricchiscono l’economia e si tuffano nelle numerose piscine che tappezzano di un celeste artificiale il paesaggio. L’ambiente naturale però è sempre più taciturno, eccezion fatta per i rumori, a volte molesti, dei mezzi agricoli tecnologicamente avanzati che hanno soppiantato drasticamente la manodopera. Nel frattempo è diminuito, o quasi sparito, l’allegro vociare degli animali.
Sono rarissimi i passeri che, a volte litigando, animavano i cortili.
Volteggiano sparute rondini; una volta numerosissime accompagnavano i nostri giochi, i lavori nei campi e nelle stalle. Confidenti oltre modo con gli uomini, si lasciavano quasi toccare quando in picchiata raggiungevano i nidi, anche tre o quattro per cascina. C’era un rispetto atavico per loro, stranamente non ci temevano e che baccano facevano quando, in autunno, ripartivano per il sud. Fremevano una a fianco all’altra radunate sui fili elettrici, formando file nere e poi di botto succedeva qualcosa, si involavano e sparivano. Subito ci avvolgeva un po’ di tristezza pur sapendo, con la primavera dell’anno nuovo, del loro immancabile ritorno.
Non si sente quasi più il tubare caratteristico della tortora selvatica, per me uno degli emblemi dell’estate perché la ricordo in canto, all’ombra, nelle giornate assolate. Da molti anni non si ascolta più il richiamo ritmato della quaglia provenire dai prati di fondovalle, sempre più a rischio di essere occupati da nuovi estesi vigneti e noccioleti, monoculture mortifere per la biodiversità, per la necessità di suoli più freschi e con sfregio al paesaggio. Si sentono cantare poco i grilli e si notano pochissime farfalle e i pronubi impollinatori. La campagna sta subendo veloci cambiamenti rischiando di travolgere, forse irreversibilmente, il nostro delicato ecosistema.
Da un giorno, di fianco a casa, sui vecchi noccioli la prima cicala ha iniziato il suo canto e in giardino un maschio di codirosso comune continua a vociare, saltando da un ramo all’altro, per segnalare alla femmina la sua presenza ed avvisare i possibili avversari; la campagna, però, è sempre silenziosa