di Marco Bersani, Attac Italia e Cadtm Italia.
Le terre di Romagna vengono allagate per la seconda volta in un mese e le istituzioni a tutti i livelli gridano all’emergenza. Dizionario alla mano, emergenza significa circostanza non prevista. È esattamente questo il nodo su cui punta la narrazione dominante, quando non scade nella farsa, additando all’iper produttività delle nutrie la causa della rottura degli argini di ben 23 fiumi e corsi d’acqua...
Ma come si fa a definire “circostanza non prevista” un fenomeno che, come dimostrano gli annuali rapporti dell’Ispra, è strutturale? Scorrendo l’ultimo di questi (2021) si legge che il 93,9% dei Comuni italiani (7423) è a rischio frane, alluvioni e/o erosione costiera. Più precisamente, abbiamo 1,3 milioni di abitanti a rischio frane e 6,8 milioni a rischio alluvioni. Sempre secondo il rapporto, le regioni più a rischio sono Emilia Romagna, Toscana, Campania, Veneto, Lombardia e Liguria.
Iniziamo allora a rimettere la logica al suo posto. Come dice la nuova generazione ecologista con quotidiani e variegati flash-mob, non stiamo parlando di pioggia ma di crisi climatica. La prima è un evento, la seconda una dimensione. La prima passa, la seconda va affrontata. La pioggia può diventare un’emergenza, la crisi climatica è l’ordinario scorrere delle nostre vite in un’epoca che ha squassato la relazione con la natura, basandola sull’estrazione, devastazione e predazione a scopo di profitto. Per affrontarla servono strategie radicali di cambiamento del modello produttivo e di consumo di suolo ed energia. Serve la rivoluzione della cura contro l’economia del profitto. Serve la democrazia economica contro la dittatura del mercato. Serve l’interdipendenza relazionale contro l’onnipotenza patriarcale.
E servono 26 miliardi, qui ed ora, per il riassetto idrogeologico del territorio. Soldi introvabili per il governo, che, mentre si aggiusta l’elmetto davanti allo specchio, ne spende altrettanti per le armi e per la guerra. Nonostante la litania quotidiana della narrazione dominante, i soldi ci sono, sono tanti, persino troppi: il problema è che sono tutti nelle mani sbagliate o indirizzati a interessi di tipo privatistico.
Occorre aprire un conflitto su un nodo fondamentale del nostro Paese: Cassa Depositi e Prestiti, che, solo con la raccolta del risparmio di 22 milioni di persone, gestisce 280 miliardi. Se per oltre 140 anni, Cdp aveva utilizzato quei risparmi per finanziare a tassi agevolati gli investimenti degli enti locali, permettendo a questi di realizzare acquedotti, scuole, ferrovie, ospedali senza trovarsi affondati nei debiti con le banche, dalla sua trasformazione in Spa nel 2003, Cassa Depositi e Prestiti è diventata un mostro economico-finanziario che oggi detiene quote delle grandi società di rete (Eni, Snam, Italgas, Terna) finanziando l’energia fossile, di grandi settori industriali (Fincantieri, Ansaldo) finanziando la guerra, e con i Comuni si relaziona come una qualsiasi banca per fare profitti, favorendo la dismissione del patrimonio pubblico e la privatizzazione dei servizi pubblici locali.
Trasformare Cassa Depositi e Prestiti diventa una priorità per poter mettere a disposizione delle comunità territoriali le risorse necessarie a una vita degna e alla costruzione di un nuovo modello sociale, ecologico e relazionale. È quanto si prefigge la campagna Riprendiamoci il Comune (www.riprendiamociilcomune.it) con due leggi d’iniziativa popolare per cambiare la finanza locale e per mettere Cassa Depositi e Prestiti al servizio delle comunità territoriali. Sostenere questa campagna non allevia il dolore di chi oggi ha perso affetti, casa e relazioni in terra di Romagna, ma permette di aprire un conflitto perché non accada più domani.
Articolo già pubblicato su il manifesto di sabato 20 maggio per la Rubrica Nuova Finanza Pubblica.
Tratto da: https://www.attac-italia.org/crisi-climatica-riprendiamoci-i-soldi-di-cassa-depositi-e-prestiti/