di Alessandro Mortarino.
Negli ultimi due anni e mezzo siamo “allegramente” transitati da una drammatica emergenza sanitaria a una altrettanto drammatica emergenza bellica, entrambe generatrici di innumerevoli ulteriori crisi epocali difficilmente non percepibili da chiunque: sociali, climatiche e ovviamente anche politiche ed economiche. Purtroppo l'attenzione delle masse resta vincolata quasi solo a quest'ultima, ma l'emergenza di oggi non scaccia quella di ieri: la amplifica. E quella di domani – peraltro già in avanzato atto iniziale – sarà ancora più devastante perché riguarda l'acqua, la terra, l'aria e il fuoco (energia e calore), elementi primari di vita e di morte...
Chi vive in città metropolitane forse non lo ha ancora compreso, ma chi possiede un orto famigliare o chi vive di agricoltura conosce bene, e da tempo, lo sconquasso in divenire. Cito due tra tante “storie” dai campi di sterminio delle nostre odierne campagne che incontriamo ogni giorno.
Cesare Quaglia, coltivatore astigiano di Variglie, racconta: «Ho iniziato la stagione preparando il campo, poi ho seminato il mais (ottofile rosso), poi l’ho recintato per difenderlo dalla fauna selvatica, ho piantato i paletti (1 ogni 10 mt) di legno, ho legato il filo elettrico e l’ho collegato alla batteria, che attaccavo ogni sera e staccavo ogni mattino, ho concimato con stallatico bio, poi ho levato la recinzione e poi ho sarchiato due volte contro le erbe infestanti; era un bel campo ma a fine giugno è iniziata l’agonia fino a vederlo morire oggi di siccità. Ho salvato una parte del raccolto dell’anno prima e quindi non tutto è andato perso, ho anche dato un po’ di semi ad un amico che l’ha coltivato in un posto più fresco e per ora è salvo. Ieri mi ha chiamato un giovane collega che cercava paglia e residui secchi di stoppie per fare una pacciamatura a difesa del suo orto, contro il caldo e il secco: anche lui non sapeva più come fare. Una mia collega si alza molto presto il mattino e bagna a mano con la botte d’acqua sul trattore le giovani viti affinché non muoiano. ecco nonostante tutto questa gente non si lamenta cerca soluzioni e si dà da fare... e poi cade il governo».
Renata Lovati della Cascina Isola Maria di Albairate (Milano) aggiunge un altro elemento che offre lo specchio della situazione: «Negli anni ho conosciuto superficialmente realtà che quotidianamente vivono il dramma della siccità e della desertificazione, penso alla Sicilia e ad alcune regioni del Sud Italia; ma solo ora, vivendo direttamente il problema della mancanza d’acqua, mi rendo conto di come questo elemento vitale sia fonte di vita e di progresso. Le mie amiche siciliane rimanevano esterrefatte a vedere foto di raccolti di medica al quinto, sesto taglio e io non capivo il valore di quelle produzioni. Giorno dopo giorno, si aspetta la pioggia; ma ormai tanti raccolti sono compromessi e se avremo riduzioni significative nella produzione di riso e cereali quello che più mi rattrista è vedere i prati stabili disseccati, una fonte di biodiversità che ha alimentato da sempre la nostra mandria di Frisone biologiche».
«Quest’anno - prosegue Renata - dopo due settimane, ai primi di maggio abbiamo dovuto rinunciare a somministrare l’erba verde alle vacche, scegliendo di affienare quel poco di raccolto che avevamo in campagna. Terminato il maggengo e il fieno di loietto e trifoglio, ci abbiamo messo giorni a capire che non avremmo avuto acqua per irrigare i prati. Abbiamo dovuto scegliere cosa salvare con quella poca acqua derivata a caro prezzo dallo Scolmatore grazie all’accordo con i vicini, ma dando priorità al riso e al mais. Il vento secco che soffia inesorabilmente si accompagna al sole cocente e credo che anche per noi arriverà il momento che un allevatore non vorrebbe mai vivere: la scelta di ridurre il bestiame per l’impossibilità di nutrirlo a sufficienza. Veniamo da anni in cui la natura ci ha mandato segnali rimasti inascoltati dalla massa delle persone e – cosa ancor più grave – dalla politica. Presto, in tante regioni, si verificheranno gli incendi, accumulando danni a quello di una guerra senza senso; i signori delle armi e materiale bellico non fermano la produzione di mezzi di devastazione della natura. In campagna, dopo i raccolti di orzo e frumento, non si vede traccia di sorghetta, le piante e le alberature stanno soffrendo inesorabilmente.
Purtroppo noi abbiamo dovuto scegliere cosa irrigare con la poca acqua che abbiamo trovato e non sappiamo cosa ne sarà di tanti prati stabili.
Fermare il consumo di suolo agricolo è una delle cose che si può fare da subito innescando processi virtuosi di riutilizzo e di rigenerazione. In Parlamento si sono arenate proposte di leggi sul consumo di suolo; il Forum Salviamo il Paesaggio ha da anni presentato un testo, condiviso da 75 esperti e passato al vaglio valutativo di una Rete di oltre 1.000 organizzazioni e decine di migliaia di aderenti individuali: se non ora quando?…».
Non credo occorrano altre parole e, come già detto, chi coltiva da tempo il proprio piccolo orto famigliare si è accorto che la saggezza dei nostri vecchi, quelle piccole abitudini che aiutavano a curare con il giusto amore il proprio pezzetto di terra, a rispettare lune e tempi, persino a calibrare semine o raccolti con la ricorrenza del Santo di turno sono già una reliquia del passato: l'esperienza rischia di non valere più perché il climate change obbliga a un cambio repentino di tecniche.
Stiamo perdendo la nostra – già ridottissima – sovranità alimentare e stiamo anche perdendo la nostra cultura contadina. Ma la cultura non diventa mai un'emergenza.
L'economia...
La politica...
Eppure sono esercizi degli esseri umani, traditi dalla loro (nostra...) supponenza.