Vorrei affrontare alcune questioni legate al consumo del territorio, incominciando con le trasformazioni del paesaggio. Quando si parla di alterazioni del suolo si pensa all’agricoltura, alla conservazioni degli ambienti naturali; raramente al paesaggio, al quale si attribuisce una valenza unicamente estetica e il più delle volte soggettiva. Dostoevskij sosteneva che la bellezza avrebbe salvato il mondo. Per questo dobbiamo anche vedere gli aspetti estetici nella salvaguardia del suolo.
Leggo una definizione di paesaggio presa da un dizionario italiano: “porzione di territorio considerata dal punto di vista prospettico o descrittivo, con un senso affettivo, con una notevole valenza estetica”. Dunque nel concetto di paesaggio sembra di percepire una valenza soggettiva. Non è così. Ciò che è bello, è bello. Il bello è oggettivo e non soggettivo; per questo va tutelato ...
Il paesaggio di cui parlo è quello antropizzato. L’uomo ha trasformato gli ambienti naturali, ma lo ha sempre fatto in modo armonico, in modo molto rispettoso dell’ambiente e del paesaggio.
Non si costruiva ovunque, ma si cercavano le aree sicure, ben soleggiate; si aveva una incredibile attenzione estetica: i materiali usati erano poveri, locali, ma perfettamente inseriti nell’ambiente in modo da non stonare, da non creare problemi con la sensibilità generale. Si aveva uno spiccato senso del bello, pur nella povertà.
Potete osservare l’eleganza di cascine di pianura, con le loro torrette, la casa civile; i rustici ed uno splendido sfondo.
Oggi, accanto alle cascine troviamo scempi ben visibili: sono il frutto di una cultura che ha dimenticato le proprie radici storiche e non ha nessun rispetto per il territorio.
In quella che era una ricca terra, frutto del sudore di tante generazioni di persone, oggi troviamo solo più degrado; cemento ed asfalto, null’altro che cemento ed asfalto, dove gli unici alberi sono i tralicci dei ripetitori o quelli dell’alta tensione.
Così sono ridotte le nostre campagne. E noi ormai ci siamo talmente abituati a questi orrori che non ci facciamo più caso.
Le strade hanno sempre rappresentato una impronta netta sul territorio. Anche una strada di campagna è una ferita, è un qualcosa di estraneo, che, però, non rappresenta un aspetto negativo, perché crea movimento, richiama l’attenzione, è bello da vedersi. Queste erano le strade del passato e muovendosi a piedi su di esse si aveva il tempo di ammirare il paesaggio, di goderlo. Noi oggi abbiamo perso la capacità di goderci il paesaggio.
Non sto dicendo che dobbiamo tornare ai tempi in cui la bicicletta era pressoché l’unico mezzo di locomozione; potrà essere romantico, salutare, ma non è pensabile spostarci come si faceva cento anni fa!
Voglio dire che spesso costruiamo strade senza effettiva necessità; strade inutili, che rovinano i terreni agricoli, fatte solo per speculazione e non per effettiva necessità.
Strade tracciate senza rispetto della natura, della geografia del luogo; delle proprietà agricole. Lo scopo è solo quello di consentire agli automobilisti di correre e ai camion di andare avanti e indietro a portare a spasso le merci.
Rotonde faraoniche, assolutamente sproporzionate alle necessità, ma che devastano ricchi campi agricoli.
E, tanto per migliorare l’estetica, queste strade sono circondate da cartelloni pubblicitari, anzi tappezzate di cartelloni e anche questi occupano suolo e danneggiano l’estetica.
L’Italia è uno dei pochissimi paesi europei in cui è consentita l’installazione di cartelloni pubblicitari lungo le strade urbane ed extraurbane; messi uno dietro l’altro potrebbero completamente oscurare la vista del paesaggio, a destra e sinistra, lungo il percorso tra Firenze e Milano e, messi per terra, coprirebbero l’intero comune di Roma, oltre 1.200 chilometri quadrati!
Per di più, dietro i cartelloni pubblicitari c’è un giro d’affari illecito spaventoso. Tra il 50 ed il 70% della pubblicità stradale è gestito da racket legati alla malavita organizzata con un introito illegale di circa 100 milioni di euro.
Che cosa fare? C’è una sola soluzione: abbatterli !
Vorrei ancora affrontare alcuni temi spinosi che riguardano le trasformazioni del territorio, come ad esempio i lunghi filari di alberi che costeggiavano le strade, offrendo ombra, legna da ardere, riparo per gli uccelli e per tutto un mondo animale.
I filari di alberi, poi, delimitavano le proprietà, servivano da frangivento, movimentavano l’ambiente. Ma oggi con la meccanizzazione agricola, danno fastidio ai contadini, perché impediscono di lavorare in fretta; il tempo è denaro !
E, poi, perché vengono intubati.
A partire dal Medioevo è stato realizzato un efficiente e complesso sistema di canali per l’irrigazione. Queste “bealere” erano circondate da lunghi filari di alberi e rappresentavano un ecosistema senza eguali nel quale viveva una fauna ed una flora particolare.
Oggi per evitare (così si dice) le costose manutenzioni annuali, gli alberi vengono abbattuti e le “bealere” intubate. Chilometri e chilometri di tubi di cemento che quanto prima andranno spaccati perché si riempiranno di terra.
Che tristezza!
Veniamo a Cuneo, una bella città e non perché è la mia, la nostra città. E’ stata realizzata con sobrietà, ma con eleganza; regolare nelle sue forme; con palazzi molto simili, alti allo stesso modo.
Tutto ciò grazie ai nostri padri che hanno saputo tramandarci un luogo “ideale” dove è piacevole vivere.
E noi che cosa abbiamo realizzato ? Disordine, casermoni orribili; un impianto urbanistico caotico, disarmonico, che non so quel mente abbia potuto pensare; una periferia degradata, sempre più degradata. Il triste è che costruire male, creare edifici brutti, costa ne più ne meno che farli belli.
Stendo un velo pietoso sul grattacielo degli Uffici Finanziari, un mostro che si vede perfino dalla punta del Marguareis.
Non parliamo poi delle aree con le villette: una addosso all’altra; una diversa dall’altra; esattamente l’opposto del buon gusto, dell’armonia. Costruire così significa disprezzare il territorio, la propria storia, la propria cultura.
Ma lasciamo la città, verso quella campagna che fino a pochi anni fa rappresentava un fiore all’occhiello del nostro paesaggio. Oggi ci appare come una ininterrotta sequenza di capannoni. Cemento ed asfalto; solo cemento ed asfalto.
Vorrei essere chiaro. Non sto dicendo che non dobbiamo realizzare le aree artigianali e industriali (ce ne sono un po’ troppe rispetto alle effettive necessità …). Dico - semplicemente - che basta farle meglio; intanto in aree paesaggisticamente ed ambientalmente non pregevoli e non nei punti più belli, possibilmente nascoste alla vista (esattamente ciò che non si vuole), con criteri edilizi un po’ più confacenti con il territorio e modellati in base alle necessità produttive. Non solo prefabbricati di cemento tutti uguali.
Queste infrastrutture, non dimentichiamolo, “consumano” grandi quantità di suolo fertile, che ormai è un bene scarso e non riproducibile. I nostri padri hanno impiegato centinaia di anni a dissodare il suolo e renderlo fertile. Noi oggi asportiamo questa cotica erbosa e lasciamo un suolo sterile. Qualora vengano tolti i capannoni, pezzo per pezzo, dovranno passare secoli per avere nuovamente la terra di prima; ma la nostra specie probabilmente non ci sarà più.
C’è un altro aspetto che raramente viene preso in considerazione: quello energetico. Gli insediamenti antropici sono per loro natura “energivori” perché debbono essere supportati ed alimentati da un articolato sistema infrastrutturale (strade, reti fognarie, acquedotti, reti elettriche, del gas, per le telecomunicazioni, ecc.).
Questo sistema infrastrutturale non solo modifica le caratteristiche del suolo nelle zone interessate e nelle aree circostanti l’insediamento (anzi, anche nelle zone dove si estraggono i materiali necessari per costruire gli edifici, come cemento, sabbia, ghiaia, argilla, legno…), ma questo sistema infrastrutturale richiede alti consumi di energia per produrre le materie prime con cui sono costruiti gli edifici. E’ stato calcolato che un kg di cemento produce un kg di anidride carbonica, mentre un kg di mattoni ne produce un quarto. Basterebbe già questo dato ad indurre una diversa scelta dei materiali nella realizzazione dei “capannoni”. Ogni nuovo edificio, solo per costruirlo, comporta la liberazione nell’aria di migliaia di chilogrammi di anidride carbonica.
Ma, poi, questi edifici debbono “funzionare”: riscaldamento, illuminazione, refrigerazione, fornitura di acqua potabile, depurazione delle acque nere, eliminazione dei rifiuti prodotti; tutti aspetti che richiedono grandi quantità di energia e producono CO2.
Da queste poche indicazioni si capisce come il tipo di urbanizzazione e la scelta dei materiali e delle tecniche costruttive siano già di per sé determinanti nella produzione dei gas serra.
Quando vedo le recinzioni di plastica rossa penso alle metastasi di un cancro: irreversibili. Non c’è più nulla da fare. In pochi giorni il terreno non esisterà più e per sempre. Per chi come me ama sporcarsi le mani nella terra, è una fitta al cuore perché è la morte della nostre terre che avanza ...
Lo scempio paesaggistico ci ferisce non solo sotto l’aspetto estetico, ma anche sotto quello culturale e storico.
La nostra pianura non è nata così come la vediamo o la vedevamo; qui, fino al Medioevo, c’erano grandi boschi. Poi le terre furono dissodate e partì quella trasformazione del paesaggio agricolo che per secoli ha caratterizzato il nostro territorio: campi colorati, filari di alberi a delimitarli, piccoli borghi.
Vediamo un altro famoso ambiente della nostra provincia: le Langhe, uno dei luoghi più incantevoli d’Italia e d’Europa.
L’uomo ha modellato le Langhe e ha creato un paesaggio affascinante che non ci stanchiamo mai di ammirare.
In alto, sui poggi, i paesi, perché quello era il posto più soleggiato e più sicuro dalle frane e dalle alluvioni.
In mezzo ai filari di vite sono sorte le cascine, armoniosamente inserite nell’ambiente. Certo la viticultura intensiva non è l’ideale per il suolo; ma i danni in questo caso sono recuperabili. E poi i castelli che da secoli caratterizzano questo territorio: semplici, a volte rudi, ma armoniosamente inseriti nell’ambiente. Guardate lo spettacolo del castello di Barolo.
Bene in questo incredibile ambiente oggi che cosa troviamo ? Capannoni!
Queste sono le Langhe che ambiscono ad entrare a far parte del patrimonio mondiale dell’Unesco.
Non parliamo, poi, di Alba, una bellissima città medievale, con un centro storico invidiabile, oggi assediata da tutti i lati da capannoni.
Mi chiedo se c’è ancora speranza per il futuro ...
Ultimo discorso: l’installazione di pannelli fotovoltaici al suolo.
Si sta prospettando in tutta Italia e anche nella nostra Provincia la realizzazione di numerosi “parchi fotovoltaici” in cui i pannelli verranno installati direttamente al suolo. Uno dei progetti più grandiosi interessa il comune di Magliano Alpi dove è prevista la copertura di 40 ettari di terreno.
La produzione di energia elettrica da fonti alternative è certamente una importante scommessa per il futuro e dovrà sostituire i combustibili fossili in via di esaurimento. Il fotovoltaico rappresenta un’indubbia opportunità, ma sfruttando l’enorme superficie già cementificata dei tetti dei capannoni, dei parcheggi, non il suolo.
Certamente questi interventi non possono essere paragonati alla impermeabilizzazione totale del suolo che abbiamo visto prima, ma l’impianto riduce fortemente l’attività fotosintetica e la biodiversità. Non dimentichiamo che le piante sono i migliori produttori di energia e per di più mangiano anidride carbonica; nessun impianto umano può essere paragonato alle piante. Quale biodiversità si può conservare sotto questi pannelli ?
Oltre ad impoverire progressivamente questi suoli di tenore di carbonio, non ricevono più l’acqua piovana per cui sono destinati ad inaridirsi, a dar luogo ad una progressiva desertificazione, a lasciare terreni privi di sostanza organica, non più adatti all’agricoltura.
Poi, quando vengono costruiti dei plinti in calcestruzzo, viene asportato lo strato utile del suolo, quello che ho già chiarito si è formato con processi pedoclimatici millenari e irreversibili. Quindi anche ammesso di potere un giorno rimuovere questi basamenti, resterà un buco, ma non il suolo agrario.
Quindi si al fotovoltaico ma sui tetti dei capannoni; anzi si potrebbe usare proprio questa via per mascherare i capannoni, per renderli meno orribili.
Ci sono interessanti proposte che credo valga la pena prendere in considerazione. In questo modo si produce energia, si migliora l’aspetto estetico dei capannoni e, soprattutto, si risparmia il suolo.