Crisi ecologica e manipolazione delle parole

di Maurizio Pallante.

Dopo aver accusato per mezzo secolo gli ecologisti di essere nemici della scienza e del progresso, i loro avversari hanno deciso di cambiare strategia e si sono schierati tra le loro fila. Anzi, hanno preteso di prenderne la guida, limitandosi semplicemente a dichiarare che le loro scelte, pur continuando a essere quelle di sempre, avevano il crisma della sostenibilità declinata nella versione dello sviluppo sostenibile...

Così, con la rapidità di un prestigiatore che fa uscire un coniglio dal cappello, sono diventati sostenibili il nucleare, il metano, gli inceneritori, il ponte di Messina, le gallerie e i viadotti che stravolgono la morfologia di intere vallate per costruire linee ferroviarie ad alta velocità e autostrade che non ammortizzeranno mai i loro costi, l’abbattimento di edifici urbani con una valenza storico-simbolica per costruire grattacieli di lusso e centri commerciali ultramoderni, la gentrificazione anziché la rinaturalizzazione delle aree industriali dismesse nelle città. Sono queste tecnologie e queste strutture con un impatto ambientale devastante che i gattopardi dell’ecologia chiamano sviluppo sostenibile, come il Grande Fratello, nel mondo distopico descritto da Orwell nel libro 1984, chiamava pace la guerra, libertà la schiavitù, forza l’ignoranza. Eppure una parte del mondo ambientalista non solo li ha accolti, ma ha anche accettato che assumessero il ruolo guida che volevano ricoprire.

La definizione di sviluppo sostenibile è stata formulata nel 1987 nel rapporto Our Common Future della Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo. È la capostipite di una serie di definizioni che, con un linguaggio apparentemente ambientalista, sintetizzano alcuni concetti fondamentali della cultura antropocentrica su cui si fonda la convinzione che tutte le specie viventi siano subordinate alle esigenze della specie umana, «come se non avessero un valore in se stesse e noi potessimo disporne a piacimento» (Papa Francesco, Laudato si’, n. 89).
Sulla base di questa convinzione si è sviluppato il modo di produzione industriale e l’economia è stata finalizzata alla crescita della produzione di merci, fino a superare i limiti della sostenibilità ambientale. Successivamente sono state coniate altre definizioni, alcune delle quali, senza togliere alla specie umana la supremazia sulle altre specie viventi, hanno subordinato anch’essa alle esigenze della crescita economica.

Poiché i nomi definiscono la natura delle cose, queste definizioni a forza di essere ripetute dai mezzi di comunicazione di massa si sono radicate nell’immaginario collettivo, assumendo il valore di assiomi che non hanno bisogno di essere dimostrati perché si dà per scontato che abbiano un’evidenza intrinseca. Riflettere sul loro significato reale è la premessa per liberarsi dai condizionamenti che esercitano esorcizzando verbalmente i problemi ambientali, mentre le scelte concrete li aggravano. Eccone un piccolo florilegio a partire dalla capostipite.

Sviluppo sostenibile: tentativo di coniugare la crescita economica con la sostenibilità ambientale. È stato l’obbiettivo delle 26 Conferenze delle parti (Cop), che si sono svolte a partire dalla Conferenza sull’ambiente e lo sviluppo organizzata dall’Onu a Rio de Janeiro nel 1992. Poiché la crescita economica è la causa dell’insostenibilità ambientale, i due obbiettivi sono inconciliabili. Da allora la crisi ecologica si è sempre aggravata e l’economia dei Paesi industrializzati non ha fatto registrare performances molto brillanti. Anzi, nel 2008 è stata sconquassata da una delle crisi più gravi della storia del modo di produzione industriale.

Capitale: il concetto espresso da questa parola indica un ammontare di denaro che viene investito in attività produttive, commerciali o finanziarie per ricavarne un reddito che lo accresca. Con le formulazioni di capitale naturale, capitale umano, capitale sociale, si esprime la convinzione che il senso di tutte le forme di vita, compresa la specie umana, consista nel contributo che possono offrire, come fattori della produzione, alla crescita del prodotto interno lordo, cioè del valore monetario delle merci scambiate con denaro nel corso di un anno. Il fatto che queste locuzioni vengano utilizzate anche dagli ambientalisti testimonia quanto i concetti che esprimono siano penetrati in profondità nel sistema dei valori su cui si fonda il modo di produzione industriale.

Risorse: materie prime, tecnologie e professionalità utilizzate per produrre beni o servizi. La definizione di risorse naturali esprime la convinzione antropocentrica che tutte le forme di vita originate dalla fotosintesi clorofilliana e moltiplicate dalle catene alimentari e dalla biodiversità, non abbiano un valore in se stesse, ma solo come fattori della produzione di merci. Con la definizione di risorse umane si esprime la stessa convinzione nei confronti della specie umana e l’antropocentrismo si annulla nell’economicismo.

Servizi ecosistemici: secondo la definizione proposta nel 2005 dal MEA (Millennium Ecosystem Assessment), i servizi ecosistemici sono i «molteplici benefici forniti dagli ecosistemi al genere umano». In questa definizione l’intenzione della tutela ambientale è evidente, ma si manifesta ancora una volta quanto profondamente i principi della cultura antropocentrica, che è all’origine di una crisi ecologica arrivata alla soglia dell’irreversibilità, siano penetrati nel modo di pensare di chi si propone di contrastarla. Secondo questa formulazione gli ecosistemi vanno tutelati non perché abbiano un valore in se stessi, ma per non perdere i benefici che offrono alla specie umana. Nella classificazione che ne fa il MEA, questi servizi sono di tre tipi: regolazione di gas atmosferici, clima, acque, erosione, prevenzione del dissesto idrogeologico, regolazione dell’impollinazione, habitat per la biodiversità; approvvigionamento di cibo, materie prime, acqua dolce, variabilità biologica; culturali, quali valori estetici, ricreativi, educativi, spirituali, artistici, identitari. Suscita qualche dubbio l’idea che queste funzioni siano state predisposte dalla natura sotto forma di benefici per il genere umano. Comunque è importante sostenere che non convenga alterare gli ecosistemi che li forniscono.

Parco: Il significato di questa parola, che definisce le aree in cui la vegetazione non è stata soffocata da distese di materiali inorganici, è stato esteso a indicare porzioni di territorio in cui la vegetazione è stata totalmente estirpata, o quanto meno sacrificata, per fare posto a installazioni produttive e impianti industriali. La formulazione primigenia di questo slittamento è stata realizzata coniando le definizioni di parco fotovoltaico e parco eolico, per rafforzare l’identificazione di due concetti che in realtà sono differenti: quello di energia rinnovabile e quello di energia pulita. Che il fotovoltaico e l’eolico siano energie rinnovabili non c’è dubbio, ma non c’è dubbio nemmeno che abbiano un rilevante impatto ambientale sia i tralicci eolici alti 150 metri installati sui crinali, sia le distese di pannelli fotovoltaici sui terreni agricoli anziché sulle coperture degli edifici civili, dei capannoni agricoli e degli impianti industriali. In ogni caso, se si riducono gli sprechi e le inefficienze si può dimezzare il fabbisogno energetico, per cui la potenza da installare con fonti rinnovabili diminuisce e diminuisce anche il loro impatto ambientale. Se non si riduce la domanda, ci si limita a sostituire un tipo di impatto ambientale con un altro meno rilevante, ma soprattutto si aprono prospettive più interessanti per chi vende energia. È l’impatto ambientale insito nella scelta di privilegiare la sostituzione dell’offerta sulla riduzione della domanda che si cerca di esorcizzare verbalmente chiamando parchi gli impianti di energia rinnovabile e utilizzando l’aggettivo pulito come sinonimo dell’aggettivo rinnovabile. Successivamente la parola parco è stata utilizzata spudoratamente per nascondere la vera natura di lavorazioni industriali molto inquinanti e nocive. I depositi all’aperto dei rifiuti industriali prodotti dalle acciaierie vengono chiamati parchi minerali sia da chi non adotta le misure necessarie per impedire la diffusione delle loro polveri nell’aria, sia dalle popolazioni che le respirano. Le aree industriali in cui sono state concentrate le aziende chimiche più inquinanti sono state chiamate parchi chimici, come si legge in un articolo pubblicato dal Fatto Quotidiano il 27 luglio 2021: «Una forte esplosione si è verificata questa mattina in uno stabilimento nel parco chimico di Leverkusen, in Germania […] uno dei più grandi parchi chimici d’Europa, dove hanno sede oltre 70 aziende». In Italia il Deposito nazionale delle scorie nucleari verrà inserito in un Parco tecnologico.

Economia circolare. Con questa definizione, che integra quella di raccolta differenziata, si alimenta l’illusione che, se si riutilizzano i materiali contenuti negli oggetti dismessi nell’anno precedente per rifornire la produzione dell’anno successivo, si possa avviare una sorta di moto produttivo perpetuo, continuando a produrre ogni anno di più e a programmare l’obsolescenza degli oggetti senza aggravare la crisi ecologica. In realtà, se il prodotto interno lordo cresce, com’è previsto dal modo di produzione industriale, i materiali recuperati dagli oggetti dismessi nell’anno precedente, anche se venissero riutilizzati al 100%, non basterebbero a sostenere la crescita della produzione dell’anno seguente. Inoltre il riciclo richiede un consumo energetico. Pertanto il consumo di risorse crescerebbe. Meno di quanto se non si facesse nulla, ma crescerebbe. E la crisi ecologica si aggraverebbe. Per contribuire a ricondurre il consumo delle risorse nei limiti della sostenibilità ambientale, l’economia circolare deve essere inserita in un progetto complessivo di riduzione del prodotto interno lordo attraverso la riduzione degli sprechi e l’allungamento della durata di vita degli oggetti. Se non si imposta in questo modo, si riduce a un alibi ambientalista. Lo dimostra il fatto che nel 2021 l’indice di circolarità nei Paesi dell’Unione europea è stato dell’8,6 %. Il 91,4% dei materiali contenuti negli oggetti dismessi non è stato riutilizzato.

Disaccoppiamento: È la chimera inseguita per trent’anni dalle Conferenze delle parti che riuniscono annualmente tutti i Paesi dell’Onu per concordare una strategia che consenta all’economia di crescere e alle emissioni di gas climalteranti di diminuire. Inutile dire che la probabilità di successo è la stessa di una dieta dimagrante basata sull’incremento del consumo giornaliero di calorie, come purtroppo dimostrano trent’anni di fallimenti.

Gas naturale: denominazione alternativa del metano, che utilizza il richiamo evocativo della parola natura per conferire a questo gas una connotazione ecosostenibile che non ha, perché la sua combustione emette CO2, per quanto in quantità più ridotte del carbone e del petrolio.

Tassonomia verde: uso di una classificazione di carattere scientifico per rendere socialmente accettabile la scelta politica di inserire il nucleare e il metano tra le fonti che contribuiscono a raggiungere l’obbiettivo, stabilito dall’Unione europea, di ridurre entro il 2030 le emissioni di CO2 del 55% rispetto ai valori del 1990, senza causare altri tipi d’inquinamento ambientale. L’inserimento in questa tassonomia è indispensabile per ricevere finanziamenti pubblici. Poiché i tempi di costruzione delle centrali nucleari non consentono di renderle operative prima di 10 anni, e la combustione del metano riduce le emissioni rispetto al carbone e al petrolio, ma non le azzera, come le fonti rinnovabili, il nucleare e il metano non contribuiranno a ridurre le emissioni di CO2 nelle percentuali richieste.  

Termovalorizzatori: denominazione alternativa degli inceneritori che evidenzia una loro presunta capacità di valorizzare economicamente i rifiuti bruciandoli, per nascondere dietro la connotazione dell’utile economico (tutto da verificare) i danni ambientali (certi) che provocano: emissioni di CO2, emissioni inquinanti, produzione di rifiuti nocivi (30% in peso dei rifiuti bruciati).

Post-crescita: Quando si sa che la crescita economica non si può più perseguire perché «in un mondo dalle risorse finite una crescita infinita è impossibile», ma si sa che usando la parola decrescita si viene emarginati, ci si rifugia nella post-crescita, che non significa letteralmente nulla.

Tratto da: https://volerelaluna.it/controcanto/2022/02/16/crisi-ecologica-e-manipolazione-delle-parole/

 

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