A cura di Legambiente Valtriversa.
Apprendiamo dall'interpellanza regionale e dalla stampa della prevista realizzazione di un nuovo polo logistico da 120.000 metri quadrati in un territorio oggi agricolo di San Paolo Solbrito, comune astigiano di cui ignoravamo le vocazioni industriali e logistiche, e riteniamo che anche gli abitanti dei comuni limitrofi abbiano saputo nello stesso modo della vicenda...
L’interpellanza pubblica del consigliere regionale Domenico Valle mette in evidenza una serie di elementi che potrebbero chiarire le procedure fino ad ora seguite per scegliere il luogo e siglare un accordo con il costruttore, ma anche di verificare la volontà degli attori e della Regione di nascondere il più possibile questa iniziativa.
Nel frattempo vorremmo mettere in luce alcuni aspetti critici della vicenda, sulla scelta del luogo e non solo:
Nel metodo: non crediamo possibile che lo sconosciuto committente abbia scelto un angolo ancora incontaminato del Pianalto astigiano come unica possibile sede di un polo che per le dimensioni si prefigura come regionale, non crediamo possibile che un imprenditore serio e stimato rischi ingenti capitali senza la certezza assoluta dell’esito della pratica burocratica, non riteniamo accettabile che non sia stata fatta una attenta verifica sulle alternative immediatamente disponibili entro un raggio anche solo di alcune decine di chilometri da San Paolo Solbrito, come indica una norma regionale ed anche il buon senso.
Nel merito: il luogo prescelto (ai confini estremi del comune di San Paolo Solbrito) sembra identificato non tanto perché è collegato con strade importanti, o perché si trova a breve distanza dai principali esercizi commerciali che dovrà alimentare (oggi la locazione geograficamente baricentrica non ha più senso, sostituita dal baricentro commerciale e stradale), ma solo perché si ritiene più facilmente acquisibile l’area, più facilmente modificabile il piano regolatore, più facilmente superabili le proteste dei pochi vicini.
Risulterebbe che ad oggi gli appezzamenti vengano valutati dall’impresa ad un prezzo (5-6 euro al metro quadro) pari a due volte il normale valore agricolo o più, mentre se l’area diventasse tra pochi anni industriale e logistica i valori subirebbero un incremento di almeno 5 volte, passando da 5 ad almeno 25 Euro al metro quadro. Un ottimo ritorno per l’imprenditore, l’opposto per chi vende.
In realtà si poteva scegliere un’area industriale in disuso, di cui abbiamo innumerevoli esempi sparsi in tutti i comuni dell’Astigiano, ma purtroppo molti sindaci non censiscono i capannoni non utilizzati, preferendo accettare la costruzione di nuove strutture che portano in dote importanti oneri di urbanizzazione. Optare per una zona già industrializzata, o comunque già destinata, porta alcuni innegabili vantaggi rispetto alla conversione di un’area agricola.
Vediamo infatti le due opzioni a confronto: per i tempi (una variante generale di piano regolatore può facilmente durare più di tre anni, infatti la Regione prevede il dimezzamento dei contributi se si supera questa soglia – art. 77 della LR 13 29/5/2020, mentre l’uso di un’area già prevista nel PRGC è immediata), il consumo di suolo (12 ettari non sono pochi, la superficie è molto superiore a quella usata, ad esempio, per l’AVIR di Quarto, mentre un’area già industriale potrebbe facilmente essere riconvertita), per la certezza del risultato (le varianti di PRGC si devono adeguare agli strumenti legislativi oggi in vigore, come il Piano Paesaggistico Regionale o il Piano per l’Assetto Idrogeologico, e nel corso dell’iter potrebbero essere identificati aspetti contrari all’uso, tali da rendere impossibile la trasformazione).
Per rendersi conto delle dimensioni e dell’impatto paesaggistico basta verificare in rete: si tratta di edifici alti 12-16 metri, coperti per 40.000 - 60.000 metri quadrati, con enormi piazzali asfaltati, in cui gli interventi di mascheramento paesaggistico sono impossibili, assenti o del tutto insufficienti (vedi ad esempio il centro logistico Carrefour di Rivalta, ma anche il nuovo polo per la logistica Novacoop di Larizzate (VC).
Legambiente comprende perfettamente i problemi occupazionali, non è sfavorevole ai poli logistici, ma ritiene che prima di pensare a consumare prezioso suolo agricolo si debbano valutare tutte le alternativa plausibili: nel nostro caso ad esempio alcune aree industriali potenzialmente disponibili (la ex Villanova SpA occupa circa tre volte l’area necessaria, l’Embraco la stessa superficie, a Villanova d’Asti esistono aree industriali libere che, sebbene non della superficie richiesta, potrebbero essere estese secondo necessità).
Legambiente ricorda inoltre che spesso nel passato non solo le promesse fatte in sede di contrattazione con le Amministrazioni non sono state compiutamente realizzate, ma anche che in parecchi casi l’apertura di un nuovo polo logistico ha coinciso con la chiusura di altri, e l’occupazione complessiva è aumentata ma solo di poche decine di unità, mentre gli impiegati ed operai venivano trasferiti di provincia o regione. Inoltre l’investitore sconosciuto e la mancanza di trasparenza del procedimento non danno garanzie del mantenimento dei livelli occupazionali nel tempo, infine i piccoli comuni purtroppo non hanno sufficiente forza contrattuale da far valere in un eventuale contenzioso.
Dobbiamo poi valutare cosa succederebbe se lo sconosciuto investitore si tirasse indietro prima della conclusione dell’iter burocratico: in questo non infrequente caso il costruttore acquisirebbe l’area per poi rivenderla al migliore offerente, sia esso rappresentante di una industria inquinante, rumorosa o addirittura pericolosa, o con livelli occupazionali anche molto ridotti.
Ricordiamo che negli accordi precontrattuali in genere si lascia piena libertà all’impresa acquirente di disporre senza vincoli delle aree acquistate.
Speriamo vivamente che gli stessi metodi fin qui usati dalla Regione in questa opaca vicenda non vengano replicati ed ingigantiti nella gestione degli ingenti capitali richiesti (13 miliardi) in Piemonte per le iniziative di Next Generation EU.
Verificheremo, non appena con osciuto il nome del committente,come si sono evolute sue analoghe iniziative in Italia o in Europa dal punto di vista paesaggistico, ambientale, occupazionale; concludiamo affermando che sarebbe certo imbarazzante scoprire che lo sconosciuto committente risulti fortemente impegnato (a questo punto solo a parole) nella difesa dell’ambiente e del territorio.