Che aria tira nelle nostre città? Alla vigilia dell’entrata in vigore delle misure antismog, Legambiente presenta "Mal’aria edizione speciale" con le pagelle sulla qualità dell’aria di 97 città italiane: confrontate le concentrazioni medie annue delle polveri sottili (Pm10 e Pm2,5) e del biossido di azoto (NO2) negli ultimi cinque anni (2014-2018) con i rispettivi limiti suggeriti dall’OMS. Solo il 15% delle città ha raggiunto nei 5 anni un voto sufficiente. Torino totalizza un triste 0, ma Asti non sorride: voto 3...
Che aria si respira nelle città italiane e che rischi ci sono per la salute? Di certo non tira una buona aria e con l’autunno alle porte, unito alla difficile ripartenza dopo il lockdown in tempo di Covid, il problema dell’inquinamento atmosferico e dell’allarme smog rimangono un tema centrale da affrontare. A dimostrarlo sono i nuovi dati raccolti da Legambiente nel report Mal’aria edizione speciale nel quale l’associazione ambientalista ha stilato una “pagella” sulla qualità dell’aria di 97 città italiane sulla base degli ultimi 5 anni – dal 2014 al 2018 – confrontando le concentrazioni medie annue delle polveri sottili (Pm10, Pm2,5) e del biossido di azoto (NO2) con i rispettivi limiti medi annui suggeriti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS): 20µg/mc per il Pm10; 10 µg/mc per il Pm2,5; 40 µg/mc per il NO2. Limiti quelli della OMS che hanno come target esclusivamente la salute delle persone e che sono di gran lunga più stringenti rispetto a quelli della legislazione europea (limite medio annuo 50 µg/mc per il Pm10, 25 µg/mc per il Pm2,5 e 40 µg/mc per il NO2) e il quadro che emerge dal confronto realizzato da Legambiente è preoccupante: solo il 15% delle città analizzate ha la sufficienza contro l’85% sotto la sufficienza.
Qui trovate il dossier completo del Rapporto di Legambiente.
La netta insufficienza ottenuta da Asti non può stupirci, dato che da anni sappiamo che la città è tra i capoluoghi di provincia dall'inquinamento atmosferico più elevato d'Italia. Legambiente pone l'accento su una domanda che ripetutamente viene formulata: questa grave situazione da cosa dipende primariamente? E così risponde: «Come spesso accade la ricerca del “colpevole” non è mai semplice.
Ogni anno giudizi e pareri, spesso affrettati o di parte, confondono le idee e non permettono di far emergere chiaramente la responsabilità di quei settori che incidono maggiormente sull’inquinamento, soprattutto nelle città. Questa confusione, spesso creata ad arte, non permette inoltre ai cittadini di capire il senso delle misure necessarie per ridurre l’inquinamento, e finisce per deresponsabilizzare non solo il decisore politico ma anche il singolo cittadino. Proviamo allora a mettere un po' d’ordine in questa giungla di giudizi e commenti, proponendo invece fatti e dati a supporto della verità. Gli studi sempre più approfonditi di enti di ricerca, Agenzie di Protezione per l’Ambiente (ARPA) e delle comunità scientifiche internazionali, convergono nel dire che, a livello urbano, l’inquinamento atmosferico è dovuto prevalentemente dal “trasporto su strada”, ovvero dalle auto.
Nonostante ogni anno frotte di politici, assessori e amministratori improvvisati scienziati provino a dare la colpa alle “biomasse” per non colpire il settore dell’automobile, la verità è questa. Gli altri settori (i riscaldamenti appunto, ma anche le industrie e l’agricoltura su tutte), hanno sicuramente le loro responsabilità e contribuiscono anch’esse all’inquinamento atmosferico nel nostro Paese, ma il loro ruolo inizia ad essere più rilevante su una scala più ampia, regionale o nazionale, mentre nelle città il contributo più determinante all’inquinamento è dovuto al traffico.
Appare evidente quindi come sia sempre meno rilevante parlare di fonti di particolato primario (dove i famigerati caminetti hanno un ruolo determinante) considerato che complessivamente pesano circa il 30% sulle concentrazioni di polveri misurate. Le misure dovranno intervenire prevalentemente sulle fonti delle polveri secondarie che incidono invece per il 70%. Particolare attenzione dovrà anche essere posta, per risultare davvero efficaci le soluzioni, al tema delle emissioni dovute alla risospensione delle particelle (che si assumono 'già emesse' e non vengono quindi considerate), su cui invece ha un ruolo importante la massa, oltre alla velocità, dei veicoli (e qui entrano in gioco i SUV che vanno tanto di moda negli ultimi anni).
Inoltre, i primi dati delle centraline di monitoraggio, dicono che durante il periodo di lockdown dovuto all’emergenza Covid, c’è stato un calo delle concentrazioni di NO2 del 65% e delle polveri sottili del 68% per il settore del trasporto su strada. A parità di caminetti accesi, stufe funzionanti e riscaldamento operativi, la cosa che nelle città si è completamente bloccata è la circolazione delle auto.
Un recente studio condotto da un consorzio italiano che comprende consulenti (Arianet, modellistica), medici ed epidemiologi (ISDE Italia, Medici per l'Ambiente) e Legambiente, nonché la piattaforma MobileReporter incaricata del coordinamento e della comunicazione, ha quantificato per la prima volta in assoluto la quota di inquinamento nella città di Milano imputabile alle emissioni delle auto diesel che superano, nell'uso reale, i limiti fissati nelle prove di laboratorio che, come il diesel gate ci ha tristemente insegnato, sono state taroccate per anni. Il risultato è sorprendente: se tutti i veicoli diesel a Milano avessero emesso realmente quanto previsto dalle norme nell'uso di guida reale, l'inquinamento da NO2 (calcolato come media annuale) avrebbe permesso alla città di rientrare nei limiti di qualità dell'aria previsti dalla normativa europea. La conseguenza
invece del mancato rispetto dei limiti ha portato alla stima di 568 decessi in più per la sola città di Milano, a causa dell'esposizione “fuorilegge” agli NO2 per un solo anno»...