Parole per la terra

di Teodoro Margarita.

Milioni di ragazzi scendono in piazza per la Terra. In ogni parte del mondo si manifesta contro i cambiamenti climatici generati dalle attività umane inquinanti. Industrie, trasporti, riscaldamento domestico generano una gran quantità di CO2 che creando l’effetto serra contribuisce a sciogliere i ghiacci e aumentare la temperatura globale sul pianeta. Si parla di clima. Si parla dei rapporti degli scienziati, i climatologi, soprattutto e si inneggia ad essi affinché i governanti li ascoltino e invertano la tendenza a generare questa enorme, immane quantità di CO2 che minaccia la sopravvivenza della nostra e delle altre specie sul pianeta. Una ragazzina svedese, Greta Thunberg, è diventata icona di queste proteste che si sono definite Fruday for Future, in breve FFF...

Si parla di terra. Si manifesta, e a ragione. Milioni di ragazzini che non avevano mai manifestato, scendono in piazza. La politica più accorta e navigata non sottovaluta e strizza l’occhio. Tutti, a parte una minoranza di negazionisti annidati tra i sovranisti, sembrano prendere in considerazione questi argomenti.

Veniamo ai ragazzi. Loro chiedono di “ascoltare la scienza”. Già, sono figli di una realtà nella quale le verità sono quelle raccontate da internet, i genitori e nemmeno i nonni, non parlano con i figli da diverse generazioni la narrazione orale è morta e sepolta. Prima le televisione poi il computer hanno sostituito le favole, i racconti. Questi ragazzi guardano Greta Thunberg su You Tube. Per la natura stessa della rete, la viralità si autoalimenta. Non esistendo altre narrazioni, questa resta l’unica dominante. I ragazzi non leggono. Lo smarthphone è ciò che li collega al mondo.

Non possono venire da loro le parole, le canzoni, gli inni, le poesie, l’infinita e necessaria messe di una narrazione diversa e davvero penetrante che possa rivoltare il reale e deciderne per un cambiamento. “Ascoltate gli scienziati. La Terra brucia. Non abbiamo un altro Pianeta”, e questo è tutto, il mantra ripetuto in tutte le lingue e in tutte le piazze del pianeta. Un ritornello che, inevitabilmente, stancherà e questo movimento finirà per annoiare. Si. Annoiare. Non ipotizzando né con parole d’ordine nuove né con atti di vita quotidiana nuovi alcunché di diverso. I cartelli, dopo le manifestazioni, finiscono regolarmente nella spazzatura e i ragazzini si collegano allo smartphone.

Forse “il mondo salvato dai ragazzini” è solamente una favola. Forse, i giochi non li decide la ragazzetta con le treccine, treccine prontamente sfruttate dalla moda, è l’ultima tendenza in fatto di fashion. Forse, noi adulti, dobbiamo dire qualcosa ai nostri figli. Noi adulti che qualcosa abbiamo da dire e da mostrare. Forse esistono altre pratiche di vita che solamente vivendole, in prima persona e decine d’anni, possono generare un canto nuovo non suscettibile di essere assimilato né manipolato da nessuno. Certo che esiste.

La Terra. Partiamo da qui. Se stiamo al mondo è perché una crosta infinitesima, quella che permette il generasi della vita, il suolo, quella parte fertile che esiste anche sotto gli oceani, c’è e si chiama humus. Si tratta di uno strato che può variare da pochi centimetri a molti metri e non oltre. In Italia lo spessore più profondo di suolo fertile si trova nella Terra di Lavoro, nel Casertano che è anche, e che malasorte, anche in buona parte Terra dei fuochi. Per arrivare in posti come l’isola di Lampedusa dove lo strato di humus, per buona parte o raggiunge i due, tre centimetri oppure è già scomparso e la roccia madre affiora abbondante: si chiama desertificazione ed è in atto. Non in divenire, in atto, si potrebbe sperare di coltivare usando la dinamite per frantumare la roccia, non vi è altra possibilità. La Terra, il nome non è irrilevante, è soprattutto là, quel terriccio che calpestiamo, indifferenti.

Eppure là, sotto i nostri piedi, si gioca il futuro, la sopravvivenza della nostra specie. Il suolo, la zolla, la “gleba”, ciò che nella Genesi è esaltato, la corretta traduzione di Adamo è proprio quella di “tratto dalla terra”, dal grembo stesso, vivente, gli antichi sapevano a cosa dovevano la vita. Gli antichi di tutto il mondo. Se “humus” umano e umile, umanità hanno la stessa identica radice.

Noi siamo questo. La zolla fertile, il solo luogo dal quale sorge e può originarsi la vita, non ve ne sono altri. Assolutamente certo. Fuori da quel misterioso mondo oscuro costituito da granelli, sabbia, pietrisco, residui vegetali e animali, strati di milioni di anni di decomposizione del vivente che da quella zolla stessa si sono generati e che quella stessa zolla, un centimetro di humus ogni mille anni, ritorna a generare, non esiste vita. Forse, non sono i climatologi che devono salvare il mondo. Forse la Terra è non nel cielo e nelle nuvole ma sulla terra. Quaggiù e non lassù.

Se tutti gli insulti e in tutte le lingue additano il contadino come il più sporco e il più lercio e sozzo degli individui – “terrone”, l’etimologia è evidente, da “terra” -, non meno cattive sono le definizioni “bifolco” colui che traccia due volte il solco, “villano” che vive nella villa ed era la fattoria, in dialetto è il contadino, sempre lui, che baggiano o buzzurro o, in francese, il cattivo a teatro o al cinema è il vilain, per affermare il contrario, per dire che una persona è ben educata si dice “civile” contrapponendo la superiore educazione delle città alla rozzezza della campagna. Ed invece. Invece, per salvare la Terra o, almeno, provarci seriamente, è proprio dalla terra che bisogna partire. Ragioniamo della Terra non partendo da una terra immaginaria ma dalla terra vera, quella che calpestiamo. Quella sulla quale sono costruite le nostre case, le strade, le fabbriche, ogni cosa che l’uomo abita o frequenta: noi stiamo sulla terra. Con i piedi per terra. La terra ricoperta dall’asfalto, dal cemento, la terra avvelenata non è “terra”, non respira, in essa non albergano più i milioni di organismi simbionti che semplicemente vivendo fanno viva la terra. Parliamo della terra che respira, persino il deserto di Atacama, uno dei posti più aridi della terra, qualche rara volta, se piove, e succede, si ricopre, seppure per pochi giorni, di splendidi effimeri fiori. L’asfalto e il cemento, no. Sono peggio di Atacama, se nel deserto di sale possono attecchire, magari a stento le alofite, piante che resistono al sale, asfalto e cemento, nulla, seppelliscono: sono un sarcofago e solamente tra le fenditure, le infestanti riescono a spaccare, lentamente la crosta di bitume o cemento e uscire. Infestante è il cemento, infestante è l’asfalto non le erbe.

È dalla terra e dalle sue creature che ci viene la vita e le creature più necessarie sono le piante.

Dopo gli incendi catastrofici che hanno devastato l’Amazzonia ma non solo, anche la Siberia, il Canada, l’Alaska e ancora, l’Indonesia, i ragazzi di FFF hanno chiesto di piantare alberi. Alberi. Certo. Quali alberi. E dove? E come? Non ci siamo ancora. I cinesi che avendo una economia pianificata e un governo decisionista, hanno piantato centinaia di milioni di alberi a nord e intorno a Pechino: sono morti. Erano alberi tutti uguali appartenenti alla stessa specie. Il vento del deserto, lo smog delle industrie li ha uccisi. Una foresta è un ecosistema complesso. Lo è la macchia mediterranea, molto meno ricca, non si può immaginare di ricreare un sistema complesso come una foresta tropicale. Non è pensabile, sarebbe un fallimento. Le foreste francesi, disegnate dagli uomini a partire dal Settecento, monovarietali, hanno ceduto di schianto alla tempesta del dicembre del 2000. Abbattute come birilli, le specie piantumate dagli uomini per i loro uso e consumo, non hanno retto. I boschi planiziari, le foreste autentiche quelle che erano sorte per conto loro, non hanno risentito di quella tempesta. Per salvare la Terra bisogna proprio ripartire dal suolo. Dalle aiuole del proprio condominio, dai viali delle città, dagli orticelli, dai piccoli campi sopravvissuti alla cementificazione. Bisogna partire dal lombrico in su. Bisogna sapere che, ogni giorno, una limaccia, crea il doppio del proprio peso in humus semplicemente nutrendosi di quello che trova. I suoli sterilizzati, ormai, asfittici dove predomina il “prato inglese” sono suoli morti.

Quella che viene definita “erbaccia” e vista come la peste dagli operai del comune che insistono a tosare e tosare, dicono che mancano i soldi eppure il maledetto cherosene per i decespugliatori si trova sempre? Quella che viene definita “erbaccia” e che prima dell’avvento delle automobili era considerata ricchezza perché nutriva i cavalli, bisognerebbe lasciarla là.

In città devono tornare i prati. Ogni erba ha un suo nome: le graminacee sono quelle che trattengono il terreno e impediscono a costo zero che le valli franino. Ogni erba ha una sua funzione, il romice, l’amaranto, la poa, il tarassaco e infinite altre. Ripartiamo dalla terra, dico ai ragazzi di FFF. Riprendiamoci la terra, impariamo a conoscerla. È dalla terra che si originano le piogge e tutte le foreste bruciate comporteranno l’assenza delle piogge, la foresta tropicale genera da sé l’ottanta per cento delle precipitazioni, per questo è detta “foresta pluviale” ma anche i nostri boschi generano piogge, persino i nostri orti e i parchi cittadini generano piogge. Le nostre pianticelle sul balcone generano, tutte insieme, la pioggia. È la terra, ricca di erbe e più erbe e alberi ci sono, meglio è, a generare le piogge.

Quando manifestate sappiate che chi sta coltivando con amore, con saggezza, senza usare pesticidi e lasciando uno spazio per le erbe selvatiche, per i piccoli animali, sta manifestando, in silenzio e ogni giorno e tutti i giorni della sua vita per la terra. Chi coltiva, il contadino vero, è lui il custode della Terra. Non ha bisogno di cartelli. Gli alberi forti che sa scegliere tra quelli delle varietà tradizionali, quelli, sono i suoi cartelli. E sono cartelli viventi. Cartelli che dicono “Vita” ogni secondo, ogni istante per tutti gli anni che saranno destinati a vivere e quegli alberi da frutta nutriranno le api che feconderanno i fiori e ospiteranno una messe di uccelli, piccola fauna e insetti. Tutto questo, vivendo e morendo, senza clamore e senza interviste alla tivù si chiama difesa della terra. Vivendo e morendo poiché anche morendo diventa humus.

Il vero ecologista è il contadino, è l’uomo che vive con i piedi, le mani e il cuore e la mente saldamente abbarbicati alla zolla. Il contadino o ortolano per libera scelta è lui il custode del seme e del paesaggio. È il contadino che conosce per necessità il nome dei venti e degli uccelli, il nome delle piante, non sono “gli scienziati” o i climatologi. Se qualcuno salverà questo pianeta è il contadino. È che coltiva anche soltanto i suoi pomodori ma nessun contadino è così stupido da piantare solo pomodori, che consumando il proprio ortaggio, perciò stesso, non ha bisogno che viaggino camion per lui inquinando l’aria, non ha bisogno che s’insacchettino nella plastica per lui, non ha bisogno che si sfruttino braccianti a un euro l’ora per lui. Il contadino e ce ne sono di giovani che ritornano alla terra e sono i migliori.

Ai ragazzi di FFF cantano: “Giro giro tondo, salva il mondo, salva la terra, facciamo la pace e mai più la guerra” i campesinos, i fellahi, i liberi zappatori cantano “Giro giro tondo, coltiva il mondo, semina la terra, vedrai spuntare un albero giocondo che ti darà il frutto che nutrirà la pace e mai più la guerra”.

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Se la Terra vuoi salvare comincia a coltivare.

Un grande movimento per liberare la terra dall’asfalto e dal cemento.

Torneranno i prati, torneranno i fiori, terra te lo giuriamo, sarem coltivatori

La terra che vogliamo salvare è la terra che adesso dobbiamo coltivare.

La rivoluzione comincia dal balcone. Chi non capisce che la rivoluzione comincia da un limone coltivato sul terrazzo di lotta per la terra non ha capito un caxxo.

La terra è quella che abbiamo sotto i piedi, è lei che ci sostiene, se ancora te lo chiedi.

Se pianti un orto non hai di certo torto, se pianti un campicello è ancor più bello, se pianti una foresta, è una bella festa.

Io lotto per la terra e non mi lagno, nel mio podere ho anche un bello stagno.

Chi lotta per la terra lotta per le generazioni a venire, chi lotta per la terra la vita fa fiorire.

Dov’è il futuro? Ancora te lo chiedi? E’ nel coltivar la terra sotto i tuoi piedi.

Terra, e si battono le mani, Terra e si battono ancora, Terra e tutti si buttano per terra, terra del prato per abbracciare, vivere, toccare la terra.

Terra, amata Terra noi ti battiam le mani. Terra amata terra madre di ogni cosa, madre degli umani.

Terra da amare, da coltivare, terra da rispettare e da rigenerare.

Siamo figli della terra, figli del pianeta, di questo paradiso da coltivare, fratelli degli uccelli, dei pesci e delle api, vogliamo un mondo libero dal denaro e libero dai capi.

Tratto da: https://comune-info.net/parole-per-la-terra/

 

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