Nuovo rapporto IPCC: il suolo risorsa determinante per il contrasto al cambiamento climatico

Il cambiamento climatico aumenta la vulnerabilità del territorio ed è strettamente legato al degrado dei suoli, con conseguenze più gravi per le popolazioni più deboli: è quanto emerge dal nuovo rapporto speciale pubblicato dall’Ipcc, il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico.

Il rapporto speciale Climate Change and Land (SRCCL) su clima, desertificazione, degrado del suolo, gestione sostenibile del territorio, sicurezza alimentare e flussi di gas serra negli ecosistemi terrestri è stato approvato mercoledì 7 agosto 2019 a Ginevra ed è stato presentato, insieme al Summary for policymakers, in una conferenza stampa giovedì 8 agosto. Più di 100 scienziati provenienti da 52 paesi hanno lavorato per circa tre anni a ricercare i legami tra agricoltura, degrado del territorio, desertificazione, sicurezza alimentare e cambiamenti climatici. In estrema sintesi, centinaia di milioni di persone abitanti nelle nazioni più povere del pianeta che dovranno lottare per produrre cibo sufficiente a soddisfare i loro bisogni alimentari. L’azione combinata dell’aumento della domanda di alimenti e dei cambiamenti climatici sulle aree agricole e naturali innescherà migrazioni di massa e conflitti...

Il documento conclude che l’umanità dovrà rivedere il modo di coltivare se intende concretamente frenare gli impatti dei cambiamenti climatici e produrre alimenti e fibre per una popolazione in continua crescita, dagli attuali 7,7 miliardi ai 10 miliardi nel 2050.

Circa 4,9 miliardi ettari, pari a un terzo delle terre emerse del pianeta, sono oggi utilizzati per l’agricoltura. Ma la crescente domanda di cibo e di terra e altre risorse sta spingendo il pianeta al limite della sua capacità. Decenni di espansione dell’agricoltura e della silvicoltura intensiva hanno causato un diffuso degrado del suolo a livello globale. Alcune pratiche agricole, quali le lavorazioni meccaniche, l’uso eccessivo di fertilizzanti e pesticidi, specialmente nelle aree meno piovose e più secche del pianeta, hanno portato a una diffusa erosione e degradazione dei suoli. Centinaia di milioni di ettari sono divenuti praticamente improduttivi a causa di questo regime agricolo intensivo. In diverse aree agricole italiane, questo fenomeno è già evidente in migliaia e migliaia di ettari di zone agricole tradizionalmente fertili, dalla Lombardia alla Puglia, dalla Campania alla Sicilia. A questo trend è associato anche una perdita di biodiversità; simmetricamente, vaste aree di foreste e zone umide sono state e continuano a essere “bonificate” per lasciare spazio a coltivazioni di olio di palma, soia, allevamento di bestiame, cotone e bioenergia (eucalipto, pioppo, robinia).

Il rapporto – che sarà pubblicato a settembre prossimo nella sua versione integrale – sostiene che i cambiamenti climatici, se lasciati a se stessi, peggioreranno questo quadro, poiché le condizioni meteorologiche estreme, come siccità e alluvioni più intense, frequenti e estese, causeranno una maggiore erosione dei suoli, aggravando le minacce che gli agricoltori si trovano già a fronteggiare e mettendo a rischio la sicurezza alimentare del pianeta.

Ciò – con molta probabilità scientifica – porterà milioni di persone, specialmente nelle nazioni più povere, ad esse esposte a difficoltà di disporre del cibo necessario ai loro fabbisogni, innescando migrazioni di massa e conflitti.

Il rapporto, secondo uno stile nuovo dell’IPCC e delle istituzioni internazionali in ambito ONU, oltre che sottolineare la crisi dell’agricoltura, suggerisce soluzioni concrete per rendere l’agricoltura più sostenibile e ridurre gli sprechi alimentari.

Gli autori del rapporto invocano l’urgenza di agire per mitigare il livello attuale di emissione di gas-serra da parte dell’agricoltura e della silvicoltura, che insieme totalizzano quasi un quarto delle emissioni globali di gas serra. L’abbattimento delle foreste (13 milioni di ettari l’anno, 250 milioni negli ultimi due decenni), il drenaggio delle torbiere e delle aree umide e la distruzione di prati e i pascoli sono alla radice delle emissioni di enormi quantità di anidride carbonica (CO2); allo stesso modo la coltivazione per sommersione del riso e l’allevamento di bestiame producono grandi quantità di metano, un gas serra molto più potente della CO2, con un potere riscaldante 30 volte superiore.

Distruggere gli ecosistemi naturali e seminaturali, incluse le aree agricole, e trasformarle in altre forme di uso del suolo (edifici, strade, capannoni, parcheggi) è grave non solo perché contribuisce all’effetto serra e ai cambiamenti climatici, ma anche perché rimuove una funzione chiave che gli ecosistemi garantiscono all’umanità, quella di assorbire le emissioni (e quindi sottrarle) dall’atmosfera e ‘sequestrarle’ nelle piante e nel suolo sotto forma di sostanza organica. Con questo degrado e ‘consumo’ di suolo stiamo rinunciando a una opzione importante per raggiungere il livello net zero emissions entro il 2050, il target che lo Special Report 1.5 dell’IPCC pubblicato lo scorso anno indica ai decisori politici se vogliamo evitare aumenti della temperatura globale.

Un grave problema che emerge dal rapporto è il degrado del suolo, in cui i terreni agricoli sono stati danneggiati da pascoli eccessivi, cattive pratiche di coltivazione e taglio degli alberi e della vegetazione in genere, rendendoli vulnerabili all’erosione causate da vento e precipitazioni. In alcune aree, i deserti si sono diffusi, aggravati da siccità più intense e prolungate. Non sono i singoli proprietari terrieri, grandi o piccoli che siamo, a voler causare il degrado. In molti casi è la pressione a coltivare il cibo nel modo più economico possibile da parte del sistema agro-industriale dominante a rendere difficile per gli agricoltori concentrarsi sulle pratiche ecologiche e di sostenibilità.

Inoltre, ancora una volta, l’IPCC richiama all’urgenza di agire e procedere verso la decarbonizzazione e il cambio trasformazionale delle economie e delle società: all’umanità è rimasto pochissimo tempo per ridurre drasticamente le emissioni da tutte le fonti, compresi i trasporti, i rifiuti e la produzione di energia, per evitare pericolosi cambiamenti climatici.

Rendere l’agricoltura più efficiente e ridurre notevolmente la sua impronta ambientale è una soluzione chiave nella lotta al clima, sostengono gli autori dell’IPCC.

D’altra parte è anche fondamentale che il mondo sia in grado di alimentare 10 miliardi entro il 2050. Il nuovo rapporto IPCC afferma che sarebbe impossibile mantenere le temperature globali entro livelli di sicurezza più di 2°C di riscaldamento rispetto alla temperatura dell’era pre-industriale, a meno d’una trasformazione nel modo in cui il mondo produce cibo e gestisce i suoli.

Secondo quanto dice il rapporto, confermando anche una conclusione della sesta edizione del Global Earth Outlook dell’UNEP, è possibile coniugare sostenibilità ambientale dell’agricoltura e della selvicoltura e sicurezza alimentare, a condizione che siano avviate strategie e misure concrete, immediate, di lotta allo spreco alimentare e di trasformazione delle diete.

Gli scienziati dell’IPCC ritengono che siamo in grado di capovolgere questa tendenza, adottando pratiche più sostenibili, ampiamente sperimentate, che possono contribuire a assorbire e sequestrare carbonio nel suolo, togliendolo dall’atmosfera.

Tratto da: http://www.isprambiente.gov.it/it/news/climate-change-and-land.-50a-sessione-ipcc-a-ginevra

 

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