di Rolando Cervi.
La seconda guerra mondiale ha portato via circa 470 mila italiani, poco più di 90mila per anno di conflitto. Lo stesso numero di vittime mietuto in Italia dall’inquinamento. Di diverso ordine di grandezza, ma pur sempre impressionanti, i circa 3200 morti l’anno per incidenti stradali. Eppure, quando queste cifre spaventose vengono pubblicate, ben difficilmente sono tra le news più lette dei siti di informazione o tra i trending topics dei social media. Sono notizie che non riempiono i giornali, non animano i talk show, non scatenano interrogazioni parlamentari. Sembra proprio che non turbino il sonno dei cittadini, né della classe dirigente che se ne dovrebbe fare carico, come se questo enorme costo umano, sociale ed economico, fosse un tributo inevitabile da sacrificare ai totem del progresso e della crescita del PIL ...
Per contro, ci sono fenomeni che, a fronte di una pericolosità piuttosto bassa, in qualche caso prossima allo zero, suscitano allarme sociale, eco mediatica e speculazioni politiche davvero sorprendenti. Gli esempi sono molti, in ogni ambito della nostra vita, ma qui ci concentreremo sull’aspetto della convivenza con gli elementi naturali.
A metà degli anni ’70 Steven Spielberg ha inventato un filone cinematografico con “lo squalo”, stampando come killer nel nostro immaginario una specie che, in tutto il pianeta, causa mediamente meno di dieci morti l’anno. Tornando in Italia, è stato recentemente promosso dalle pagine dei libri di fiabe a quelle dei giornali il lupo, un predatore ferocissimo di cui non è documentato un solo attacco all’uomo negli ultimi 200 anni. Eppure, sull’opportunità di ammazzare a fucilate una parte degli esemplari presenti in Italia, l’opinione pubblica si divide, la politica specula senza vergogna, la stampa spara titoloni sensazionalistici.
Su alcuni aspetti della nostra quotidianità ci comportiamo come una società molto laica e razionale: abbiamo ben presente che le attività umane comportano dei rischi, e che questi possono e devono essere ridotti, ma che è non è realistico pensare di portarli a zero. Su altri, tra cui la convivenza con la natura, siamo preda di un autentico delirio securitario, che ci spinge a reagire istericamente alla sola ipotesi di un possibile danno.
Ci siamo illusi che la scienza e la tecnologia, la cui evoluzione negli ultimi due secoli è stata davvero formidabile, abbiano messo definitivamente la museruola al resto del creato, sterilizzandolo e mettendolo al nostro servizio, per essere depredato delle sue risorse senza bisogno di farsi troppe domande. Invece la drammatica emergenza ambientale e climatica che stiamo vivendo ci chiama ad una nuova quanto antica consapevolezza: siamo parte di questo pianeta, al quale apparteniamo al pari delle altre forme di vita che lo abitano, e l’unico modo che abbiamo di garantire la perpetuazione della nostra specie è quello di ricreare un minimo di armonia ed equilibrio. Non perché è giusto, ma perché è semplicemente l’unica opzione che abbiamo.
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