di Rosaria Gasparro.
C’è un’emergenza educativa in atto di cui siamo – chi più chi meno – diversamente responsabili. Ci siamo persi la natura. E non solo a scuola. Scomparsa o relegata alle due ore di scienze, come conoscenza e studio di seconda mano. Abbiamo allontanato i nostri bambini dagli alberi, dai fiori, dagli animali, dal cielo, dalle nuvole, dalla pioggia …
“La natura, in verità, fa paura alla maggior parte della gente. Si temono l’aria e il sole come nemici mortali. Si teme la brina notturna come un serpente nascosto tra la vegetazione. Si teme la pioggia quasi quanto l’incendio” diceva Maria Montessori.
Conosco un bambino che non ha mai visto il mare. Chi non è mai stato in montagna. Molti nella mia classe non hanno mai visto la neve. Alcuni non hanno mai visto un pulcino. Li conoscono senza averne fatto esperienza. Senza essersene bagnati. Senza averli tenuti tra le mani. Senza quel contatto intimo che si scrive per sempre nell’anima.
I nostri bambini sempre più protetti diventano sempre più artificiali. Non hanno più la terra sotto i piedi. Hanno paura di sporcarsi le scarpe di fango. E diventano allergici ai pollini e ai gatti. Lontani e separati dal verde, con la natura ristretta ai pochi elementi che resistono nei nostri percorsi urbani, ci ritroviamo – adulti e bambini – con l’anima rimpicciolita e non ce ne accorgiamo. “Il sentimento della natura – diceva ancora la Montessori – cresce come ogni altra cosa; e non è certo trasfuso da noi con qualche descrizione od esortazione fatta pedantescamente dinanzi ad un bimbo inerte e annoiato chiuso tra mura…”.
È in quel sentimento che si gioca il legame con la vita e la sua qualità. L’esplorazione, la curiosità, l’avventura, la fiducia. La poesia del mondo naturale e la sua bellezza. Perché natura è cultura. È scoperta delle relazioni che esistono tra gli elementi, e quindi è cura e rispetto. Ma, per prima cosa, per ogni bambino è gioia e incanto.
Se la natura è lontana, alcuni di noi provano a portarla a scuola. L’alberello da regalare ad ogni bambino il primo giorno di scuola. Chi il corbezzolo, chi il mandorlo, chi la quercia…
Un bambino è come un albero
che si spinge in alto in cerca di cielo
che nel profondo mette radici
che per crescere cerca amici
terra acqua e amore
cura aria e tanto sole.
Un bambino è l’albero che sarà
porterà i suoi frutti ovunque andrà.
Parlerà con la luna e le stelle
le vedrà infinite e belle.
Parlerà con il mondo
in chiaro e tondo
la sua lingua del futuro.
Crescerà forte e sicuro
libero di essere vero.
Un bambino è come un albero.
Davvero.
E ancora… La forma delle nuvole. Riconoscere i cirri, i nembi, gli strati. Sentire il vento e chiamarlo con i suoi nomi cangianti. Le foglie d’autunno. La frutta di stagione. Il vino fatto in classe con i moscerini che ronzano intorno e che chiameremo drosofile. Il pane con la pastamadre. La semina del grano in orti improvvisati. Le erbe aromatiche. Il piccolo giardino nel cortile.
Nessun maestro, per quanto bravo sia, può però portare all’interno della scuola la maestosità di un bosco. “Nessuna descrizione, nessuna immagine di libro, può sostituire la visione reale degli alberi di un bosco, con tutta la vita che si svolge intorno ad essi. Si sprigiona da questi alberi qualcosa che parla allo spirito, qualcosa che nessun libro, nessun museo potrà mai rendere. Vedendo un bosco, ci accorgiamo che non esistono soltanto gli alberi, ma tutto un insieme di vita; e questa terra, questo clima, questa potenza cosmica, sono necessari all’armonioso sviluppo di tutti questi esseri viventi. Questa miriade di vita intorno agli alberi, e la loro maestà, la loro varietà, sono qualcosa che bisogna andare a scoprire e che nessuno può portare all’interno della scuola. Quante volte l’animo dell’uomo – e specialmente quello del fanciullo – ne viene privato, perchè non lo si mette in contatto con la natura”. (M.M.)
Per questo si va a scuola fuori. Si adottano gli alberi del parco o se ne piantano di nuovi. Si chiamano per nome ed è un valore. Si scoprono che nel nostro territorio ci sono 22 specie e 9 ibridi di orchidee spontanee. Si va nelle braccia del ginepro coccolone tra le dune costiere. Si va nelle masserie didattiche a mungere il latte e a fare il formaggio. A tenere tra le braccia un capretto e a farsi succhiare il dito. A raccogliere le uova calde. A scoprire il verso dell’oca maschio, che non starnazza ma soffia e sibila come un serpente per difendere la femmina. A non aver paura dei tori nemmeno se abbiamo la maglia rossa e nemmeno dei cani pastori maremmani. Ad accarezzare Carlotta la cavalla murgese incinta e Zeus lo stallone. A scoprire che i maiali non sono solo rosa come Peppa Pig. Che hanno 14 mammelle e che ci viene da ridere. A ricordare che anche noi abbiamo succhiato dalle tette della mamma. E ci viene ancora da ridere ma ci fermiamo subito in un comune sentire.
La natura è la vera maestra senza cattedra e senza autorità. Una scuola terra terra per il sentimento del mondo. Una scuola che non ha fretta e non ha paura di sbagliare. Riprendiamocela.
Tratto da: http://traterraecielo.it/le-esperienze/se-i-bambini-non-si-sporcano-le-scarpe-di-fango?utm_source=emailcampaign953&utm_medium=phpList&utm_content=HTML&utm_campaign=WEL+29+-+WALK+EAT+LOVE+numero+VENTINOVE+del+1+ottobre+2015.