di Laura Ortu, Associazione per la Difesa della Piana Villanovese.
L’associazione per la Difesa della Piana Villanovese nasce nel 1981 come comitato contro la discarica della ditta privata Spaic. Il progetto venne bloccato. Nel 1995 il comitato diventa associazione aderente a Pro Natura Piemonte e si oppone alla delibera regionale che prevedeva una discarica in località Lapaudin, in prossimità del sito precedente.
Il ricorso al TAR ci vide vittoriosi fino al terzo grado di giudizio e cioè il Consiglio di stato. Oggi ci opponiamo sempre di fronte al TAR alla delibera n. 35 del 17/7/07 della provincia di asti che ha individuato i siti idonei e non idonei alla realizzazione di discariche.
Ciò che preoccupa maggiormente di questa delibera è che costituisce una sorta di piano regolatore delle discariche individuando i siti che oggi, domani e chissa’ per quanto tempo saranno idonei ad ospitarla ed escludendone per sempre altri.
Nell’individuare i siti invece di cercare zone industriali dimesse o zone già altamente compromesse si è preferito privilegiare zone agricole e di allevamento, spesso di pregio, esattamente come si è fatto con Cerro Tanaro.
La zona del Pianalto ove sono stati individuati i siti, peraltro prioritari, non e’ una zona industriale ma bensi’ agricola con culture anche di pregio come il latte e la carne di prima qualità, la gallina bionda che è l’unica razza autoctona piemontese rimasta, la tinca gobba dorata che ha ottenuto un mese fa il riconoscimento dall’UE di prodotto DOP e IGP. Buona parte dei terreni coltivati a cerali sono stati prescelti per le oasi ecologiche della Plasmon. I prati che sono stati definiti incolti sono prati stabili, per chi non lo sapesse (come nel caso di chi ha emanato la delibera) è un prato che non ha subito alcun intervento di aratura o dissodamento, non coltivato e lasciato a vegetazione spontanea per moltissimo tempo, da un minimo di 12 mesi fino anche a centinaia di anni. La Cee finanzia e incentiva la tenuta di prati stabili indispensabili per il mantenimento delle biodiversità.
La delibera inoltre disattende a tutte le nuove direttive europee e le leggi nazionali in materia di smaltimento dei rifiuti. Le direttive europee prevedono infatti la riduzione delle materie prime utilizzate, il riuso degli oggetti, il riciclo dei materiali scartati fino a ottenere una drastica riduzione dei volumi di residuo.
Dalla fine degli anni 1990 salvo sporadiche iniziative, la provincia di asti non ha mai attuato dei seri progetti volti alla riduzione dei rifiuti alla fonte.
Passano gli anni ma il concetto di smaltimento rimane immutato e si preferisce la soluzione, apparentemente meno costosa, di buttare i rifiuti in un buco. Quel buco però non potrà mai più essere utilizzato per altri scopi e le acque sottostanti saranno inesorabilmente avvelenate.
Pur avendo migliorato negli anni le tecniche costruttive delle discariche non esiste la certezza di una discarica sicura tant’è che nessuna compagnia assicurativa si è mai assunta il rischio di assicurarne una.
E’ inoltre doveroso prendere anche in considerazione il costo di post gestione che è totalmente a carico della collettività e che limita la sua funzione solo al contenimento del danno e non all’eliminazione, in quanto impossibile.
Per risolvere il problema rifiuti l’ultima tendenza italiana, anche dopo la firma dell’ATO2 per quel che ci riguarda, è quella di incenerirli dimenticandoci della legge della fisica che recita “nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma” ovvero sostanze dannose disperse nell’aria e ceneri ancora una volta da gettare in un buco.
Basta parlare di emergenza, considerato che di rifiuti si parla da almeno 30 anni, che Napoli è in emergenza da 14 anni. Quanto deve durare questa fantomatica emergenza prima che si prendano dei seri provvedimenti e non la si utilizzi solo per farci digerire le scelte sbagliate dei nostri amministratori.
Ormai con la raccolta differenziata "porta a porta" si può raggiungere nel giro di due anni il risultato stabile di 70% di differenziata senza problemi. Rimane da smaltire il 30% dei rifiuti solidi urbani . Con il trattamento meccanico biologico (TMB) si possono recuperare, nel peggiore dei casi, i 7/10 dei materiali che entrano, perciò la vera parte residua da smaltire è soltanto il 30% di ciò che entra nell’impianto.
Quindi senza minimamente considerare politiche di riduzione e riuso dei materiali, considerando il peggiore dei casi (70% di raccolta differenziata e 70% di materiali recuperati dal TMB), la parte da mettere in discarica è soltanto il 9% dei rifiuti solidi urbani. Ciò significa che, se si attua una politica di raccolta differenziata spinta ("porta a porta") e avendo gia’ un impianto di TMB (come nel nostro caso), si riesce a recuperare il 91% dei RSU.
Se a tutto ciò si aggiungono quelle politiche di prevenzione, riduzione e riuso dei rifiuti che per legge devono essere attuate ben prima della raccolta differenziata o dello smaltimento, la quantità di rifiuti da smaltire diminuisce drasticamente.
Non c’è bisogno di inventare l’acqua calda, basterebbe copiare quello che in altre regioni italiane e in altri stati del mondo fanno da anni.