L'ingegneria naturalistica per la messa in sicurezza dei dissesti idrogeologici



di Vittorio Fiore (architetto socio AIPIN, docente esperto dell’IN).


L’ingegneria naturalistica è una disciplina tecnico-scientifica che prevede l’utilizzo di piante o parti di esse, da sole o in combinazione con materiali inerti, per il consolidamento e la difesa del territorio con problemi di stabilità. Si sfruttano le proprietà stabilizzanti possedute da alcune piante pioniere, utilizzandole per consolidare efficacemente versanti e scarpate, insieme con l’effetto drenante prodotto dalla loro elevata traspirazione ...

I materiali inerti che vengono usati in combinazione, hanno la funzione di garantire la funzionalità statica dell’opera per un periodo sufficiente alla completa affermazione della vegetazione messa a dimora, dopodiché tali elementi strutturali, costituiti da tronchi scortecciati di specie legnose durevoli, quali larice, castagno, quercia, robinia, ecc., oltre a pietrame, geotessuti, biostuoie, reti metalliche, paglia, ecc. perdono importanza.

Le finalità degli interventi d’Ingegneria Naturalistica sono principalmente:

- tecnico funzionali, per il consolidamento di rilevati instabili o scarpate stradali o fluviali;

- naturalistiche, per la ricostruzione di ambienti naturali, con l’innesco di ecosistemi di specie vegetali autoctone;

- paesaggistiche, rimarginazione delle ferite al paesaggio attraverso il recupero di dissesti con un corretto inserimento di specie vegetali proprie del paesaggio naturale;

- economiche, attraverso l’utilizzo di strutture verdi reperibili nelle vicinanze, alternative alle opere tradizionali in c.a., con un risparmio dei costi di costruzione e di manutenzione.

Ogni opera d’IN prevede uno studio preliminare di fattibilità, finalizzato alla scelta della tipologia costruttiva più adatta al tipo di dissesto da recuperare, analizando:

- le caratteristiche topoclimatiche e microclimatiche di ogni superficie di intervento;

- il substrato pedologico con riferimento alle caratteristiche chimiche, fisiche ed idrologiche del suolo;

- le caratteristiche geologiche e geomorfologiche;

- le verifiche geotecniche e idrauliche;

- la base conoscitiva, floristica e fitosociologica;

- l’utilizzo degli inerti tradizionali ma anche di materiali di nuova concezione quali le stuoie e i geotessuti sintetici in abbinamento a piante o parti di esse;

- l’accurata selezione delle specie vegetali da impiegare con particolare riferimento a: specie arbustive ed arboree autoctone, talee, zolle erbose da trapianto, utilizzo di stoloni o rizomi.

Le tecniche di ingegneria naturalistica si distinguono nelle seguenti categorie d’intervento:

- di rivestimento o antierosivi (tutti i tipi di semina, stuoie, materassini seminati, ecc.);
- stabilizzanti (messa a dimora di arbusti, talee, fascinate, gradonate, cordonate, viminate;
- combinati di consolidamento (palificate vive, muri, grate vive, muri a secco con talee, filtrante, gabbionate e materassi verdi, terre rinforzate, ecc.);
- particolari (barriere antirumore e paramassi, opere frangivento, ecc.).

Sull’esempio del resto d’Europa, dove sono sorte a partire dal dopoguerra, tali tecniche stanno diffondendosi anche da noi grazie ad una sensibilità generalizzata per i problemi ambientali ma soprattutto per l’affermarsi a tutti i livelli amministrativi delle procedure di Valutazione di Impatto Ambientale.
Nel 1989 viene fondata in Italia la "Associazione Italiana Per la Ingegneria Naturalistica" (A.I.P.N.) con sede nazionale a Trieste.
L’AIPIN PV (Piemonte e Valle d’Aosta), è stato fondato a Vercelli nel 1992 da un pugno di tecnici piemontesi, tra cui lo scrivente.
Ad Asti i primi interventi sono stati effettuati a partire dal 1994 a villa Paolina, dove, grazie al WWF, è stata realizzata la prima palificata doppia verde della Provincia per il sostegno del versante collinare franato sul cortile della casa padronale. Ancora oggi è possibile constatare l’efficacia e l’inserimento ambientale di quest’’opera.

Nell’anno successivo l’Amministrazione comunale di Asti ha indetto un bando di concorso d’IN, vinto da un gruppo di tecnici astigiani, con il sottoscritto come capogruppo, per il recupero statico e funzionale di due strade comunali, bricco Gianotti e bricco Malandrone, franate a seguito degli eventi alluvionali dell’anno precedente. Il recupero strutturale di questi dissesti si è basato sull’utilizzo delle terre armate, con risultati sicuramente positivi. E’ sufficiente constatare che oggi non è più possibile identificare le opere realizzate, essendo perfettamente inserite nel contesto paesaggistico naturale. Tale perfetta ricucitura strutturale sostituisce un sistema di muraglioni in c.a., poggianti su pali e tirantati alla collina, che avrebbero comportato, oltre ad un impatto paesaggistico devastante,  costi nettamente superiori.

Si devono segnalare poi come opere astigiane d’IN significative anche il cantiere didattico del 1997 sul torrente Versa, con la partecipazione di moltissimi corsisti. Negli anni 2005-06 i comuni di Asti e Settime hanno indetto un concorso per il recupero idraulico e la riqualificazione ambientale del rio Rilate, vinto da professionisti astigiani, dove le sponde modificate sono state consolidate con gabbionate rinverdite, copertura diffusa di salici e palificate doppie.
Da ricordare infine, tralasciando molte altri interventi minori, l’opera d’IN, realizzata, nella frazione di Revignano, progettata da una equipe di professionisti astigiani, con lo scrivente capogruppo, su committenza privata, per il consolidamento di un importante fronte franoso, risolto in modo efficace, tanto che ha ottenuto il 1° premio Schiechtl 2012, rilasciato dall’ AIPIN. Anche qui è utile ricordare che tale intervento, oggi perfettamente rinverdito, sostituisce una possibile struttura in c.a. a più campate, fondata su pali e dotata di tiranti orizzontali, con un costo preventivato da un’importante impresa astigiana di ben 4 volte superiore alla somma effettivamente spesa.  

Ciò nonostante, proprio perché possiamo contare su tanti esempi astigiani positivi, bisogna a malincuore constatare che si sarebbe potuto fare molto di più, se soltanto si fosse creduto che il recupero a basso impatto dei dissesti idrogeologici possa essere considerato da tutti, tecnici e politici, un valore aggiunto da perseguire, per la valorizzazione ambientale del nostro prezioso paesaggio naturale, che vorremmo giustamente far conoscere e apprezzare a tutto il mondo come patrimonio dell’UNESCO.




























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