Noi non taceremo, mister King !



di Ira Conti, Comitato interregionale P.A.S. Dolomiti.


Sabato 12 marzo, in comune di Forgaria del Friuli, si è tenuta l’assemblea fondativa del comitato che si batterà contro l’ipotesi di autostrada pedemontana Gemona- Sequals.
Quando nasce un comitato è un po’ come quando nasce un bambino: si è allegri ma con una punta di tristezza. Allegri perché una nuova nascita implica vita e vitalità, capacità di amore e tenerezza, tristi, perché il futuro è imperscrutabile e si teme sempre per ciò che esso può avere in serbo. Ora, i comitati nascono grazie all’amore delle persone per la propria terra, ma questi eventi rappresentano anche il campanello d’allarme che indica l’esistenza di un pericolo per quella stessa terra e i suoi abitanti ...

I comitati nascono sotto la spinta dell’indignazione delle persone, per la mancanza di informazione da parte degli organi competenti in merito ai progetti che si vogliono realizzare e che andranno ad incidere spesso pesantemente, nella vita delle comunità; nascono dalla voglia di partecipare alla determinazione del destino della propria terra e del proprio. Spesso esprimono la paura di vedere l’ambiente intorno a sé devastato, il desiderio di superare un senso di impotenza nei confronti di un centro decisionale arcigno e lontano.

Inizialmente molti comitati soffrono della sindrome di nimby, perché lo sguardo si posa su ciò che più si ama intorno a sé e che si teme di perdere per sempre.

E’ forse una colpa amare il proprio territorio e volerlo trasmettere integro ai propri figli?

Il disprezzo che il potere politico ed economico dimostra nei confronti dei comitati farebbe pensare di sì.

Eppure sarebbe bello se quel potere ponesse, realmente, la salvaguardia ambientale in cima alle priorità da cui discendono progetti e decisioni; in tale campo, come anche in molti altri, la società civile rappresenta posizioni di gran lunga più avanzate, rispetto ai soggetti politici ed economici.

Questi ultimi producono una grande quantità di progetti, spesso concordati ben al di fuori delle sedi preposte e ben lontano dai cittadini che ne subiranno le conseguenze e ne pagheranno i costi. Molti di tali progetti vengono promossi da operazioni di marketing sociale, attraverso le quali si convincono le popolazioni che il progresso implica automaticamente, il dover rinunciare alla bellezza del paesaggio e alla propria salute. Spesso le comunità vengono portate gradualmente verso una condizione di deprivazione; infatti, per mezzo della cancellazione progressiva dei servizi, a causa dell’isolamento materiale e istituzionale, dell’impoverimento demografico e personale, si cerca di aumentare il conflitto orizzontale e di cancellare ogni senso di appartenenza e di identità.

A questo punto il terreno è pronto: si propone il progetto come panacea di tutti i mali e anche come “unica soluzione possibile” per uscire da una situazione stagnante.

La campana suona per questo o per quel territorio e le reazioni della popolazione che ascolta i rintocchi, sono sempre diversificate.

Alcuni gioiscono per il semplice fatto che “qualcuno si occupa finalmente di noi” , “qualcuno si è accorto che esistiamo” e “ben venga qualunque cosa perché è sempre meglio del nulla”.

Altri cominciano a fare piccoli conti per poter raccogliere le briciole sotto il tavolo del futuro banchetto.

Altri ancora ascoltano rassegnati e si fanno sommergere dal senso di impotenza di fronte al “nemico troppo grande” che tanto “farà quello che vuole qualunque cosa noi diremo o faremo”.

Ma la casistica non è finita: alcuni non ci stanno, vogliono vederci chiaro, capire chi ci guadagna e chi ci perde, diffondere le informazioni, opporre resistenza. Spesso queste persone finiscono con il raggiungere un alto grado di conoscenza e di consapevolezza, che li porta poi ad allargare lo sguardo al di là dei confini domestici per saldare la propria lotta a quella di molte altre realtà. Diventa evidente che per ogni comitato sconfitto, ognuno di noi arretra nella propria battaglia e che per ogni vittoria, in qualunque parte del nostro martoriato e bellissimo paese essa avvenga, cresce la speranza di tutti.

Si finisce infatti per capire, che la batteria di fuoco schierata dalla classe politica ed imprenditoriale, spara contro l’ambiente nella sua interezza e lì dove non trova resistenza, pianta la bandiera del guadagno privato e del consumo del territorio: il 50% del PIL mondiale proviene dallo sfruttamento di risorse e beni comuni (acqua, aria, terra, materie prime, ect.) e ad ogni minuto che passa, in Italia, scompaiono 300 metri quadri di terra libera da cemento.

L’unico modo che abbiamo per fermare questa immensa frana in atto, è quella di unire le forze e costruire salde opere di “bioresistenza”, ovvero unire i comitati in rete tra di loro; solo così, che si vinca o che si perda, non dovremo sentirci dire, un domani; “ma tu, dov’eri quando hanno fatto tutto questo?”.

Nessuno deleghi nessuno e tutti si sentano “per sempre coinvolti”. Emblematica una frase Martin Luter King: “ciò che mi spaventa non è la violenza dei potenti, ma il silenzio degli onesti”. Noi non taceremo mister King!

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