Intervento di Oreste Delfino (Comitato Cuneese Acqua Bene Comune) al convegno sull’utilizzo sostenibile dell’acqua tenutosi a Cuneo lo scorso 22 marzo.
Secondo i dati diffusi da Arpa Piemonte ad inizio anno, la nostra regione è stata a livello europeo quella che ha patito maggiormente la siccità. Le precipitazioni (neve, pioggia) negli ultimi 3 anni sono diminuite talmente tanto che è come se ne mancasse una intera annualità. Cioè, nel 2023 dovrebbe nevicare/piovere per la quantità prevista in due anni perché si recuperi il gap e si ristabiliscano le riserve ritenute normali.
Siccome però è evidente che nel breve periodo il trend non invertirà rotta, dovremo attrezzarci per convivere con l’emergenza acqua. Questo significa che in agricoltura ci si dovrà come minimo adattare ad avere forti diminuzioni delle rese per ettaro di tutte le colture...
Ecco allora che è assolutamente inderogabile limitare il più possibile le coltivazioni idroesigenti, il mais è una di queste, soprattutto se non destinate al consumo umano od animale. Per tutte le altre serve cambiare i sistemi di irrigazione riducendo il consumo d’acqua ed evitando l’allevamento intensivo del bestiame che oltre richiedere enormi quantità di acqua libera nell’ambiente significative quantità di gas metano climalterante. Significa anche ad esempio che si dovrà abbandonare la consuetudine di produrre neve artificiale per le piste da sci che oltre essere fortemente energivora, consuma una quantità enorme di acqua.
Dal punto di vista dell’idropotabile, campo che a noi del Comitato è più consono, occorrerà fare investimenti sempre maggiori per garantire a tutto il territorio la quantità e qualità d’acqua necessaria alla nostra vita. A noi tutti compete la limitazione dei consumi: evitare sprechi inutili, riutilizzare l’acqua dei lavaggi delle verdure, raccogliere l’acqua piovana in appositi raccoglitori o vasche per utilizzarla per irrigazioni di orti e prati e se tecnicamente possibile anche per i servizi igienici. Alle istituzioni preposte ed ai gestori delle reti compete limitare le perdite, trovare nuove e più stabili fonti di approvvigionamento, adottare tutte le modifiche infrastrutturali per rendere interconnessi gli acquedotti in modo che non ci siano territori più carenti ed altri con sovrabbondanza.
La provincia di Cuneo sotto questo aspetto è particolarmente fragile! Molti comuni montani ed ancor più molte borgate isolate, fino ad oggi erano egregiamente servite qualitativamente da una miriade di sorgenti montane e pedemontane superficiali che però già nei periodi estivi avevano difficoltà quantitative e richiedevano l’immagazzinamento dell’acqua primaverile in vasche e serbatoi. Ora con il cambiamento climatico in corso ci siamo “regalati” scarsità anche autunnali e primaverili per cui non c’è più la possibilità di fare riserve. Le piccole/medie sorgenti storiche attivate nei secoli passati dall’ingegno dei residenti, non sono più sufficienti. Occorreranno grandi opere infrastrutturali per garantire l’acqua ai cittadini di queste aree. Occorrerà creare la massima interconnessione tra le reti locali perché l’acqua di un territorio possa essere fruita anche da altri. Si renderà sempre più necessario pompare l’acqua dalle falde sotterranee, anche a profondità riguardevoli. Occorrerà sostituire le tubazioni vecchie diventate “colabrodo”. Tutto questo ha un costo enorme sia per la realizzazione che per la gestione.
Pensiamo che nei primi anni 80 del secolo scorso nella nostra provincia è stata costruita quella grande infrastruttura che noi tutti conosciamo come acquedotto delle Langhe e Alpi Cuneesi (ALAC) che prendendo l’acqua da copiose sorgenti carsiche sia al colle di Tenda che in valle Ellero, ha risolto definitivamente l’atavico problema della carenza d’acqua nell’alta Langa. Ora, a fronte della nuova grande disponibilità captata dalla sorgente Macario nel comune di Vernante, si apre la possibilità di trasportarla anche in tanti altri comuni carenti della zona. Quest’opera avrà un costo superiore ai 20 milioni!
Non solo, ma le falde profonde dalle quali si attinge per gli acquedotti della piana da Fossano in avanti hanno subito, anche se in modo più lento rispetto alle carenze delle sorgenti montane, un ulteriore abbassamento del loro livello per cui si renderà necessario scavare pozzi più profondi e si avranno costi più elevati per il pompaggio in superficie. Anche le uniche proposte avanzate finora di costruzione di nuovi grandi invasi, pur essendo ad uso plurimo, avranno un costo ricadente in parte sul servizio idrico integrato. Oltre ovviamente ad avere forti negatività per i noti problemi geologici ed ambientali delle aree interessate, sarebbe da verificare quali impatti avrebbero sempre sull’abbassamento delle falde nonché sulla penetrazione del cuneo salino nel delta del Po: nessuna opera può essere progettata per il vantaggio di un territorio a scapito di un altro. Forse sarebbero più validi invasi di dimensioni minori, più diffusi sul territorio con annesse aree di infiltrazione capaci di rifornire le falde profonde che, come sono state più lente nel abbassarsi, richiederanno tempi lunghi per ristabilirsi.
Come si può pensare che in una tale situazione ci sia chi ricava utili dalla vendita dell’acqua violando apertamente l’esito referendario del 2011? Come si può pensare che si possa continuare ad applicare il principio UE, super recepito dall’Italia, per cui tutti i costi vanno caricati sulle bollette degli utenti?
È inaccettabile, porterebbe a dei costi non sostenibili per larghe fasce di cittadini, tali da privarli dell’uso del bene comune. Si, perché i costi caricati in tariffa vengono ad incidere in ragione diretta ai consumi rilevati, cioè al numero dei componenti di ogni nucleo. Quindi se il mio nucleo è composto dai genitori con due figli più magari un anziano convivente, consumerà una quantità d’acqua decisamente maggiore che nuclei più ridotti. Il mio nucleo sosterrà quindi una spesa molto più alta, indotta dal caricamento totale in tariffa degli investimenti eseguiti sopportando un costo sproporzionato e venendo meno al principio costituzionale della progressività contributiva. Il principio UE che genera questa situazione si chiama “Full cost recovery” ed è in vigore da molti anni ma in questa situazione diventa decisamente più iniquo.
Il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, al quale noi partecipiamo, sostiene da sempre che i costi degli investimenti infrastrutturali vadano coperti dalla fiscalità pubblica generale in modo che ognuno contribuisca progressivamente in ragione del proprio reddito. Purtroppo, governi ed amministrazioni locali, in questi anni non hanno mai affrontato il problema, anzi nel metodo tariffario in vigore hanno reintrodotto un elemento di calcolo che comprende una quota di riconoscimento finanziario per il capitale investito in modo tale da rendere redditizia l’attività pur senza alcun rischio per le imprese di gestione. In questo modo si generano utili certi dalle bollette degli utenti che poi in gran parte vengono distribuiti in dividendi ai soci. Ecco che è divenuto importantissimo avere ottenuto che nella provincia di Cuneo il gestore sia totalmente pubblico con il divieto di distribuire dividendi ai soci e l’obbligo di riutilizzare tutti gli utili negli investimenti programmati in modo da limitarne l’incidenza in tariffa.
Ma, come abbiamo appena visto la crisi climatica aumenta esponenzialmente i costi e questo non è più sufficiente a garantire l’universalità del servizio. L’Europa si è accorta che il mercato da solo non è sufficiente ad affrontare la crisi sia pandemica che climatica ed ha inventato il new gerneration Ue, tradotto in Italia nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Uno strumento che purtroppo non mette in discussione il principio del libero mercato in assoluto, ma che comunque lo limita per un certo numero di anni. Ed uno dei più importanti filoni del PNRR è appunto quello dedicato agli investimenti nel servizio idrico integrato. Ma cosa è successo invece in provincia di Cuneo? In presenza della possibilità di accedere a questi fondi pubblici in parte a fondo perduto, qui non si è riusciti ad ottenerli. Semplicemente perché dal 2019, anno dell’affidamento diretto in house del SII al gestore unico pubblico Cogesi, questi non ha potuto ultimare il suo iter di subentro ai vecchi gestori privati e misti. I tanti ricorsi presentati da questi ultimi hanno creato una pericolosa situazione di incertezza ed indotto Cogesi ad una eccessiva prudenza. Ma, soprattutto l’azione contraria di un buon numero di sindaci capitanati dall’ex di Santo Stefano Belbo, Icardi e da quelli di Alba, Fossano, Marene, Canale con quasi tutti quelli del Roero che hanno a loro volta presentato ricorsi fotocopia di quelli del gruppo privato Egea, lo hanno impedito. Ora tutti i ricorsi presso il Tribunale Superiore delle Acque di Roma sono stati respinti nel merito ma, non sazi, i gestori privati hanno ricorso alla cassazione per contestare le sentenze di questo tribunale. Ciò ha fatto sì che venisse a mancare il requisito dirimente della gestione unica provinciale ed ha generato in un primo tempo l’esclusione dalla prima tranche dei fondi PNRR ed in un secondo tempo il collocamento in una posizione arretrata fuori dal campo dei finanziamenti assegnati.
Se da un punto di vista della concorrenza societaria, che però sull’acqua non dovrebbe influire, i ricorsi dei vecchi gestori possono avere una loro logica, quelli dei sindaci hanno esclusivamente arrecato danno ai cittadini di tutta la provincia, compresi i loro elettori. Non solo, questi sindaci hanno accuratamente evitato di compiere i passi necessari perché il loro territorio entrasse a fare parte della compagine societaria di Cogesi, azzoppandone così la rappresentatività territoriale.
Purtroppo la politica provinciale non ha brillato nel ricercare una soluzione praticabile e si è consumata in anni di proposte impercorribili note sotto il termine della “trattativa Borgna/Bo” volta, secondo quest’ultimo, ad un riconoscimento delle gestioni miste.
Fatti conclamati nel tempo o resi noti dagli organi di stampa in queste ultime settimane hanno dimostrato come la soluzione del parternariato privato/pubblico non sia sostenibile per i servizi pubblici essenziali. Nel tempo si è visto che amministrazioni di diverso colore del comune di Fossano, che detiene la maggioranza tra i soci pubblici della mista Alpi Acque, hanno a più riprese usufruito dei dividendi ricavati dalle bollette dell’acqua di cittadini in maggioranza residenti in altri comuni per risanare proprie esigenze di bilancio. Ora in una prima notizia è stato reso di dominio pubblico che il gestore misto Mondo Acqua del monregalese, a partecipazione privata del gruppo IREN e di altri investitori tra i quali Egea, è stato interessato da una azione fraudolenta del suo ex presidente accusato di turbativa d’asta in alcuni appalti di lavori assegnati all’impresa “amica” Tecnoedil Lavori, sempre del gruppo Egea. L’ultima più recente notizia ha reso evidente come il gestore privato Egea Acque, ex Tecnoedil, apporti al gruppo Egea ingenti utili grandemente sproporzionati rispetto alla sua incidenza di fatturato nel gruppo. In parole povere, il gruppo Egea, in difficoltà per la crisi dei prezzi energetici, è sopravvissuto fino ad oggi anche grazie agli utili ricavati dal servizio idrico integrato realizzati dalle bollette degli utenti. I giornali riportano che ora dovrà cedere la quota di maggioranza dell’intero gruppo alle grandi multiutility del nord, A2A o IREN. In questo modo gli utili, sempre ricavati dalle bollette degli utenti del territorio, andranno a favore delle grandi città che ne sono socie di maggioranza, rispettivamente Brescia e Milano o Torino, Genova, Reggio Emilia e Parma. Cosa ne pensano i sindaci di quel territorio che fino ad ora si sono opposti alla gestione unica pubblica asserendo che il buon gestore locale era da mantenere in vita perché investiva localmente?
Ci auguriamo che alcuni promettenti segnali di questi ultimi tempi possano portare a concludere in tempi relativamente brevi il percorso di subentro su tutto il suolo provinciale. Ce lo auguriamo soprattutto perché pensiamo che nel futuro prossimo siano possibili altri interventi pubblici resi necessari dalle conseguenze dei cambiamenti climatici e sappiamo che i cittadini non potrebbero sopportarne ulteriormente l’esclusione.
Le proposte che fino qui abbiamo illustrato rappresentano tutte azioni di buon comportamento individuale o locale e sono certamente indispensabili per affrontare la carenza d’acqua sul nostro territorio. Non dobbiamo però dimenticare che il problema dei cambiamenti climatici e della conseguente siccità si può affrontare esclusivamente con azioni globali che limitino fortemente l’apporto di inquinanti al nostro pianeta. Non è più accettabile che la Terra venga considerata come un insieme di risorse inerti destinate a soddisfare ogni nostra esigenza. Non è accettabile ad esempio, che la Regione Liguria pensi di far fronte alla siccità con i dissalatori dell’acqua del mare che oltre a consumare grandi quantità di energia, contribuiscono a fare aumentare in grado di salinità dei mari proprio in vicinanza delle coste con gravissimi danni all’ecosistema costiero. La Terra, che meglio sarebbe chiamare Gaia oppure Pachamama, ha una sua vita e le nostre azioni generano la sua reazione. E’ perciò fondamentale che, oltre alla nostra azione individuale o locale, ci uniamo a tutto il movimento internazionale che chiede alle istituzioni internazionali ed ai governi nazionali di affrontare in termini concreti ed in tempi certi il problema della salvaguardia di Gaia.