di Riccardo Petrella.
Secondo l’UNICEF e l’OMS, 1 persona su 3 non ha accesso all’acqua potabile. Oggi, quasi 2,2 miliardi di persone non hanno accesso all’acqua e 3,6 miliardi di persone nel mondo vivono in aree in cui l’acqua è una risorsa potenzialmente scarsa per almeno un mese all’anno. Il diritto all’acqua e ai servizi igienici significa avere accesso a un’adeguata quantità d’acqua, almeno 20 litri di buona acqua potabile pro capite al giorno nei Paesi “poveri”, nel raggio di 15 minuti a piedi dal luogo di residenza. La quantità sale a 50 litri nei Paesi “ricchi”(1)...
Nel 1992, in occasione di una conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e l’acqua (2), il sistema dominante, con l’aiuto della finanza predatoria e della tecnologia di conquista, ha ridotto l’acqua a una merce, a un bene economico. Inoltre, nel 1993, la Banca Mondiale ha proclamato la necessità di basare la gestione delle risorse idriche del pianeta sul principio dell’accesso all’acqua attraverso il pagamento di un prezzo da parte dell’utente, basato sul recupero dei costi totali sostenuti dal capitale investito (compresa la remunerazione del capitale, cioè il profitto). Un principio che da allora è diventato la linea rossa da non oltrepassare nel pensiero e nella politica idrica delle forze sociali dominanti. (3)
La linea rossa sull’acqua
L’Unione Europea ha stabilito la linea rossa con l’art. 9 &1 della Direttiva Quadro sull’Acqua del 2000 che recita: “Gli Stati membri tengono conto del principio del recupero dei costi dei servizi idrici, compresi i costi ambientali e delle risorse, tenendo conto dell’analisi economica effettuata in conformità all’allegato III e in particolare del principio chi inquina paga“.(4)
Questa linea è stata consolidata e rafforzata dalla Commissione europea nel suo Water Blueprint del 2013, in cui si afferma che i principali attori della politica idrica europea sono i “portatori d’interesse “ (stakeholders). I cittadini, attraverso le istituzioni pubbliche elette, non sono nemmeno menzionati. (5) In questo modo, la Commissione europea si è chiaramente posizionata nel campo degli interessi finanziari, industriali e commerciali delle forze dominanti.
Ogni tentativo del Parlamento europeo di discostarsi da questa linea rossa è fallito. (6) La stessa sorte è toccata ai promotori dell’importante Iniziativa dei cittadini europei (ICE) su “Right2Water” (7) che nel 2013 è riuscita a soddisfare le condizioni piuttosto stringenti (1,8 milioni di firme certificate in almeno 7 Paesi dell’UE) per essere presa in considerazione dalla Commissione europea. È stato all’interno dei promotori stessi che si è giocata la linea rossa fin dall’inizio della campagna dell’ICE. Alcune federazioni nazionali dell’Unione Europea dei Servizi Pubblici, principale promotrice dell’ICE ,erano favorevoli alla privatizzazione dei servizi pubblici, in particolare dell’acqua, definiti come SIEG (Servizi di Interesse Economico Generale) invece che come SIG (Servizi di Interesse Generale).(8) Contrariamente alla prima, quest’ultima concezione è più favorevole alla gestione pubblica, con i costi del diritto all’acqua sostenuti dallo Stato attraverso la fiscalità , come nel caso delle spese militari. Nel documento che spiega gli scopi e gli obiettivi della loro ICE, i promotori specificarono che per diritto all’acqua intendevano l’accesso all’acqua a un prezzo accessibile. Con questo chiarimento, la proposta dell’ICE è stata ritenuta ammissibile dalla Commissione europea. Il risultato finale dell’ICE è stato che la Commissione non ha dato alcun seguito all’idea di un riconoscimento legale del diritto all’acqua e ai servizi igienici nella sua legislazione. Ha solo ribadito che le sue scelte e le politiche dell’UE sono efficaci nel promuovere il diritto all’acqua e nel salvaguardare l’acqua come bene pubblico comune! In altre parole, l’ICE sull’acqua è rimasta nella storia europea della lotta per il diritto all’acqua come un’enorme mobilitazione di cittadini europei per nulla, un triste esempio di palese disprezzo della volontà diretta dei cittadini, di un furto della sovranità popolare. (9)
Va notato che la linea rossa del principio dell’accesso all’acqua a prezzo abbordabile è stata incorporata anche nei principi ispiratori dell’Agenda 2015 delle Nazioni Unite (“Gli obiettivi di sviluppo del millennio” 2000-2015) e dell’Agenda 2030 (“Gli obiettivi di sviluppo sostenibile” 2015-2030) ed estesa agli altri “diritti umani universali” quali la salute, il cibo, la casa, l’energia/elettricità, l’istruzione, la conoscenza… Nell’Agenda 2030 non si parla mai di “diritto a…” ma di “accesso a… su basi eque e a prezzo abbordabile”.
L’ultimo rapporto del Parlamento europeo
Si tratta (10) di un altro fallimento nella sfida alla linea rossa, ma anche di un rilancio del dibattito politico europeo sull’acqua, la vita e i diritti umani su basi più profonde e solide.
Le aspettative erano alte per questo nuovo rapporto di iniziativa del Parlamento europeo sull’acqua. Per la prima volta, non si trattava più solo di salvaguardare il buono stato ecologico delle risorse idriche europee e la loro gestione economica. Il rapporto si è occupato della “dimensione esterna”, cioè della dimensione internazionale e globale del diritto all’acqua e dell’acqua come bene pubblico mondiale. Una prospettiva completamente diversa. Una grande novità.
L’iniziativa è stata presa dalla Sottocommissione per i diritti umani del Parlamento europeo, presieduta dalla socialista belga Marie Arena, una figura ben nota tra i suoi colleghi. Il relatore è stato Miguel Urban Crespo, leader del gruppo “anticapitalista” all’interno del partito spagnolo Podemos. Si è trattato di un dibattito importante, frutto di un lavoro collettivo e aperto. Pensate: la bozza iniziale presentata dal relatore conteneva 16 visto, 22 considerando e 22 proposte. La relazione adottata contiene 35 visto, 35 considerando e 50 proposte, il che dimostra la portata del lavoro svolto dai parlamentari in termini di emendamenti e integrazioni.
Alcuni dei punti più significativi del relatore sono stati purtroppo modificati in modo sostanziale o eliminati. Mi riferisco ai punti in cui Urban Crespo ha difeso la superiorità, nell’interesse dei cittadini, del modello di fornitura pubblica dei servizi idrici, nonché al suo invito alla Commissione Europea a facilitare i processi di de-privatizzazione dell’acqua e dei servizi igienici. La maggioranza dei parlamentari non lo ha seguito.
Né il rapporto iniziale né quello adottato hanno messo in discussione il concetto deleterio di sostituire il diritto all’acqua con il principio dell’accesso all’acqua su basi eque a prezzo abbordabile (ricordiamo che l’equità non è giustizia). Non c’è una denuncia forte del sequestro del diritto e del bene pubblico globale attraverso la monetizzazione e la finanziarizzazione dell’acqua in quanto tale. C’è solo un rapido cenno alla quotazione in borsa dei contratti idrici a lungo termine. Come hanno dimostrato gli ultimi 30 anni di lotta al cambiamento climatico, l’assoluto rifiuto dei dominanti di cambiare anche solo minimamente le regole dell’attuale sistema finanziario globale è il principale ostacolo che ha bloccato e blocca tuttora (vedi COP27 sul cambiamento climatico) l’adozione di soluzioni che potrebbero arrestare il collasso dell’attuale vita sulla Terra. Il loro unico difetto è che sono inaccettabili per i poteri economici, finanziari e tecno-militari dominanti. Questo è il senso della grande ingiustizia strutturale del sistema esistente.
Un altro motivo importante per vedere il bicchiere mezzo vuoto è legato alla debolezza o addirittura all’assenza di analisi e dibattiti sul grande tema della sicurezza idrica globale e, in questo contesto, sulla strategia della resilienza imposta dai poteri dominanti, in particolare dall’Occidente, a livello globale, continentale e locale. Così come è concepita e proposta dai dominanti, la resilienza di fronte alla scarsità d’acqua, che sta già devastando molti Paesi dell’Africa, dell’Asia Minore e dell’Asia Meridionale, dipende da due fattori chiave: un’elevata capacità tecnologica, sempre più costosa, abilitata da un elevato potere finanziario. Oltre l’80% della popolazione mondiale non ha né capacità tecnologiche di base né potere finanziario. Se la situazione non cambia, questo 80% sarà non resiliente, cioè senza futuro. (11)
Infine, poco spazio è dedicato alle istituzioni e ai meccanismi di regolamentazione, responsabilità, gestione, controllo e sanzioni, su scala globale (non solo internazionale), in grado di definire e promuovere politiche idriche e igienico-sanitarie “globali”. Eppure, sono ben noti i limiti della capacità dell’ONU di agire a livello mondiale, a causa dei cosiddetti “interessi nazionali” quando, di fatto, dietro questo alibi si celano gli interessi predatori di dominio e di arricchimento dei gruppi privati più potenti. Perché il Parlamento europeo non ha approfittato di questa risoluzione per denunciare il fatto che una delle forme embrionali ma forti di regolamentazione “politica” mondiale dell’acqua e dei servizi igienico-sanitari è costituita da un organismo privato come il Consiglio Mondiale dell’Acqua e i suoi due principali strumenti, il Forum Mondiale dell’Acqua e il Partenariato Globale dell’Acqua? Il Consiglio è stato fondato nel 1995 dai principali produttori, distributori e utenti privati di acqua con il sostegno esplicito della Banca Mondiale. Oggi, dietro il mantello del cosiddetto partenariato pubblico-privato assistiamo a una vera e propria sottomissione dei poteri pubblici nazionali e internazionali alla visione commerciale, utilitaristica e tecnocratica dell’acqua.
Come possiamo vedere il bicchiere è ancora mezzo vuoto. Fortunatamente è già mezzo pieno. Penso in particolare all’importanza fondamentale data nel rapporto, sistematicamente, al principio del diritto universale all’acqua e dell’acqua come bene pubblico mondiale, bene pubblico essenziale. Questo è in netto contrasto con i tentativi dei “signori dell’acqua” che, dopo l’inaspettata adozione da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 28 luglio 2010 della risoluzione che riconosce il diritto universale all’acqua e ai servizi igienici, hanno cercato di far dimenticare l’esistenza di tale diritto! (12). L’insistenza del rapporto sulla consapevolezza del valore dell’acqua come diritto e bene pubblico è incoraggiante di fronte alla continua valanga di visioni commerciali, produttivistiche, estrattive, finanziarie, tecnocratiche e competitive dell’acqua.
Un altro segnale positivo è rappresentato dai numerosi riferimenti ai diritti delle popolazioni indigene e aborigene e al rispetto delle loro specificità e dei loro valori e modi di vita. Lo stesso vale per l’enfasi posta sulla condizione delle donne e delle ragazze, che sono gravate dal compito di andare a prendere l’acqua ogni giorno da fonti distanti parecchi chilometri…
L’approccio umanistico della relazione del PE non è retorico, ma fondamentale nella lotta contro le disuguaglianze sociali e la predazione della vita. Vanno quindi accolte con favore la denuncia dell’accaparramento delle terre in Africa, America latina, Asia da parte di grandi gruppi privati nei Paesi ricchi, in particolare in Europa, e le critiche rivolte alla Banca Mondiale e al Fondo Monetario Internazionale con le quali il rapporto li invita ad abbandonare il principio ingiusto della condizionalità. Come è noto, la Banca Mondiale ha imposto dal lontano 1978 l’obbligo ai Paesi di privatizzare l’acqua e i servizi idrici come condizione per la concessione di prestiti per lo sviluppo di sistemi nazionali di gestione dell’acqua.
A questo proposito, vale la pena sottolineare i riferimenti fatti in diverse occasioni al rafforzamento dei mezzi e delle azioni di cooperazione a livello di fiumi internazionali e di bacini transnazionali.
Insomma, se la risoluzione non intacca i baluardi della linea rossa delle forze dominanti che oggi delimita il campo del politicamente corretto, (13), bisogna riconoscere che i diritti all’acqua e alla vita non garantiti, trascurati e persino negati per miliardi di persone (gli impoveriti, gli esclusi, i più vulnerabili, le vittime del razzismo e delle guerre tipiche delle forze dominanti) hanno trovato nel Parlamento europeo dei convinti difensori. Il rapporto ha riaperto spazi di azione e di utopia. La lotta per il diritto universale all’acqua bene comune pubblico mondiale, essenziale, continua.
Note bibliografiche
(1)1 personne sur 3 dans le monde n’a pas accès à de l’eau salubre – UNICEF, OMS (who.int)
(2)https://wedocs.unep.org/handle/20.500.11822/30961#:~:text=The%20International%20Conference%20on%20Water,Janeiro%2C%20Brazil%2C%20June%201992.
(4) https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:02000L0060-20141120
(5) https://ec.europa.eu/environment/water/blueprint/pdf/brochure_en.pdf
(6) Cfr. https://www.europarl.europa.eu/news/fr/press-room/20140214BKG36173/initiative-citoyenne-l-eau-un-droit-humain/2/l-eau-un-droit-humain-et-le-parlement-europeenU. Un altro importante tentativo non riuscito è avvenuto in occasione della revisione della Direttiva sull’acqua potabile nel 2018. www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/ATAG/2018/628279/EPRS_ATA(2018)628279_IT
(8)Cfr. https://ec.europa.eu/info/topics/single-market/services-general-interest_it
(9)Riccardo Petrella, https://www.pressenza.com/fr/2020/06/des-attaques-persistantes-pour-ne-pas-reconnaitre-leau-comme-un-droit-humain-et-un-bien-publici
(10) Cfr. Relazione sull’accesso all’acqua in quanto diritto umano, https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/A-9-2022-0231_IT.
(11) Riccardo Petrella, Eau et résilience , 5 mars 2020, https://www.meer.com/fr/61408-eau-et-resilience.
(12) https://press.un.org/fr/2010/AGSHC3987.doc.htm
(13) Tra le proposte « politicamente non corrette » vedi Riccardo Petrella, « Il faut créer un Conseil mondial de la sécurité hydrique, https://www.lalibre.be › Débats › Opinions