Le banche non finanziano più gli acquedotti astigiani

Imagedi Alessandro Mortarino.

Mentre i comitati locali aderenti al Forum Italiano dei Movimenti per l'acqua si preparano ad avviare la campagna nazionale per la richiesta di applicazione del secondo vittorioso quesito referendario (eliminazione della remunerazione del capitale investito per i gestori degli acquedotti), ad Asti emerge una situazione a dir poco paradossale: bilanci già in sofferenza a causa di consumi in calo, oneri finanziari in aumento, rifiuto degli istituti di credito a garantire nuove risorse per gli investimenti in previsione. Insomma: le banche non si sentono garantite dalle bollette dei cittadini/utenti e dagli "azionisti" degli acquedotti a capitale pubblico, ovvero i Comuni ! Cosa significa ? ....

Significa che la situazione è davvero grave. E anche poco nota. Per questo occorre darsi da fare perchè tutti sappiano ciò che sta accadendo. E qui proviamo a farlo.

Consumi in calo

A fine anno i quattro gestori degli acquedotti dell'astigiano dovrebbero registrare consumi delle utenze complessivamente inferiori di circa un 5 % rispetto alle previsioni calcolate lo scorso anno all'atto della definizione delle tariffe da applicare per il 2011. Verrebbe da pensare che i cittadini della nostra provincia hanno raccolto le proposte della rete delle 67 organizzazioni che danno vita al Comitato Astigiano a favore delle Acque Pubbliche e hanno imparato a risparmiare l'acqua, sono più virtuosi, fanno la doccia e non il bagno, chiudono il rubinetto mentre si insaponano o utilizzano lo spazzolino da denti. Invece, secondo il presidente dell'Autorità d'Ambito Ottimale Astigiano/Monferrato, la causa vera è un po' meno "nobile" e deriva principalmente dalla chiusura di molte aziende manifatturiere forti consumatrici di potabile. E' la crisi, bellezza ...

Questa minore "vendita" di acqua da parte dei gestori riduce i loro margini per l'esercizio in chiusura e getta una prima preoccupante visione sull'andamento del prossimo anno: quante altre chiusure si dovranno registrare ? Di conseguenza, il piano tariffario che nei prossimi giorni verrà definito dall'Autorità di certo prevederà tariffe in aumento (attorno al 5 %) e nonostante questa piccola "stangata" ai cittadini, i dubbi sulla tenuta dei consumi industriali non farà dormire sonni tranquilli ai nostri gestori.

Investimenti in corso

Fortunatamente, il più cospicuo tra gli investimenti in corso (la interconnessione tra i pozzi di Cantarana e l'acquedotto del Monferrato) gode di un linea di credito che fu concordata con le banche a tasso fisso, pari al 3 %. Oggi la situazione del mercato finanziario internazionale non consentirebbe più un accordo simile e gli oneri passivi in vigore sarebbero fluttuanti (attorno al 6 % medio circa, giusto per dare una valutazione di massima).

La remunerazione del capitale investito

Secondo il "metodo normalizzato" (definito dal ministero come strumento per la determinazione delle tariffe da applicare per il servizio idrico integrato), la remunerazione del capitale investito che i cittadini italiani vorrebbero ora far eliminare a suon di referendum, non rappresenta esattamente l'utile di gestione previsto. Il metodo sostanzialmente dice che la somma previsionale dei costi industriali va divisa per i consumi previsionali dell'anno a venire e aumentata di un 7 %. In quel 7 %, però, non troviamo solo il "lucro" del gestore ma anche i costi finanziari da esso sopportati. Quindi (per spiegarci meglio) un gestore, da quella previsione di risultato economico pari al 7 % del suo operare, dovrà poi togliere ancora il costo corrisposto alle banche quali interessi passivi sui crediti loro concessi. Al 3 % oggi, al (forse) 6 % domani ... Insomma, resta pochino. Nulla !

Investimenti in previsione

L'ammodernamento tecnologico, la manutenzione delle reti ecc. costano. E nuovi investimenti, infatti, sono previsti tanto dall'Acquedotto del Monferrato, quanto dal Della Piana (circa 4 milioni di euro entrambi) e dall'Asp (circa 1 milione).

E qui la incredibile sorpresa: le banche non sono disponibili a nuovi finanziamenti. Se questa situazione era chiara e, tutto sommato comprensibile, prima del referendum (la legge Ronchi prevedeva che gli attuali gestori pubblici dovessero cedere almeno il 40 % delle loro quote a nuovi soci, privati; dunque la banca come poteva concedere crediti ad un soggetto che facilmente sarebbe "cambiato" entro poche settimane ?). Ma dopo il risultato popolare, la chiarezza dovrebbe essere massima: i gestori restano in sella fino a scadenza dei loro contratti, nel nostro caso locale fino al 2030.

Chi conosce la logica degli istituti di credito (ho nelle orecchie le parole che un direttore di banca mi ribadì più volte anni fa: "noi siamo come un supermercato, volete del denaro ? Eccoci qui, è il nostro mestiere ...") sa che il credito non è mai svincolato da una buona garanzia. Nel caso acquedottistico, le garanzie sono addirittura due: i cittadini/utenti che pagheranno le bollette e i soci/azionisti (che nel caso di 3 dei 4 gestori astigiani sono direttamente i Comuni). Dunque, se la matematica non è un opinione e la logica non ci confonde, siamo in presenza di una precisa scelta "politica", di un attacco al ruolo pubblico nella gestione dei beni comuni, di una crisi di sfiducia nel credito personale e in quello delle amministrazioni locali: il “Mercato” sente odore di bancarotta ... O sbagliamo ?

Che fare ?

Di tutti questi temi si è parlato a lungo in queste settimane sia in riunioni all'Ato 5 e sia all'interno del Comitato Astigiano a favore delle Acque Pubbliche che, alcune settimane fa, aveva richiesto all'Autorità di esplicitare le sue prospettive in merito, evitando di imporre un diktat post-referendario. Dal quadro della situazione, è emersa la certezza che la richiesta di applicazione del secondo referendum e, dunque, lo "sconto" del 7 % in bolletta, metterebbe definitivamente in ginocchio i nostri quattro gestori locali, tre dei quali interamente (ma diversamente) pubblici e uno (Asp) comunque a maggioranza pubblica.

Con grande senso della responsabilità, si è così giunti alla decisione di non "pretendere" l'applicazione del 7 % (che dal punto di vista legale non è comunque così automatico ottenere, stando anche al profondo dibattito in atto a livello nazionale e costituzionale). Ma, parallelamente, di formulare alcune precise richieste all'Autorità d'Ambito e ai gestori.

1. Che la grave decisione degli istituti di credito di non più finanziare gli investimenti dei nostri acquedotti sia resa nota e venga comunicata ai media, al mondo politico, a tutti i cittadini/utenti. E che vengano esplicitati con chiarezza i nomi degli istituti di credito in questione. Perchè questa è una "faccenda" di tutti e non solo degli amministratori.

2. Che i due gestori interamente pubblici in forma di Società per Azioni (Valtiglione e della Piana) seguano repentinamente l'esempio della municipalizzata di Napoli, trasformata nelle scorse settimane in Ente di Diritto Pubblico.

3. Che venga predisposto un piano immediato per rendere maggiormente conosciuto e trasparente il percorso di definizione delle politiche tariffarie e la formazione dei bilanci preventivi e consuntivi di ciascun gestore e dell’Ato. Allo stesso tempo, si richiede l'inserimento di rappresentanti dei cittadini nella partecipata attività di programmazione e pianificazione dell’Ato e degli stessi gestori, allo scopo di contribuire ad evidenziare eventuali percorsi di miglioramento gestionale e/o possibili riduzioni di costi non nevralgici.

4. Che la possibile applicazione del secondo quesito referendario venga rinviata solo per l'anno 2012 e che entro tale scadenza si avvii un profondo dibattito locale per definire gli scenari futuri.

In attesa che queste richieste vengano prese in considerazione, resta il fondo “amaro” della questione: la situazione economica e finanziaria del nostro Paese è grave e ogni giorno non mancano esempi lampanti. Sempre più, dunque, sta ai cittadini riappropriarsi degli elementi primari dei propri diritti e farsi parte in causa.

Parte integrante. Senza deleghe …

 

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