Dal 1° al 12 novembre avrà luogo a Glasgow la conferenza COP26 che, con la partecipazione della maggioranza dei governi del mondo, discuterà dell’emergenza climatica e dei rimedi per contrastarla. Una parte importante di questa emergenza è l’aumento dei gas serra, in particolare l’anidride carbonica (CO2), che determina l’aumento delle temperature.
Ogni paese dovrebbe rendere pubblico il livello delle proprie emissioni, ma fin dal 1997 (Accordi di Kyoto) da questi numeri sono escluse le emissioni militari. Da allora, non sono mai state prese in considerazione in nessuno dei successivi incontri internazionali.
I numeri di cui si discuterà a Glasgow quindi non sono realistici, ma carenti e parziali. Non vogliamo essere prese in giro, perché sappiamo che non sono certo bruscolini le emissioni climalteranti riconducibili ai sistemi d’arma, agli eserciti, alle loro basi e apparati, agli aerei, alle navi, ai carri armati, alle guerre.
Ma i responsabili delle decisioni sembra che non vogliano aprire questo discorso. Attualmente le spese militari italiane ammontano a 26 miliardi annui; e secondo gli ultimi impegni presi in ambito NATO la spesa militare italiana dovrà salire a 36 miliardi annui.
Di fronte all’attuale crisi sociale, sanitaria e climatica, che ce ne facciamo di più armi, più eserciti e più inquinamento?
Sul problema delle emissioni climalteranti del comparto militare è stata lanciata una petizione da 325 organizzazioni di molti paesi del mondo; si può trovare al seguente indirizzo web:
https://actionnetwork.org/petitions/stop-excluding-military-pollution-from-climate-agreements-2/
Le “donne in nero contro la guerra” - gruppo di Alba