C’è una crisi umanitaria in corso nel nord della Bosnia: migliaia di profughi arrivati dalla Siria, dall’Afghanistan e da altre regioni colpite da guerre e crisi economiche vagano nei boschi attorno alla città di Bihac dopo che un campo allestito nella zona dall’IOM, l’agenzia Onu per le migrazioni internazionali, è andato a fuoco il 23 dicembre scorso. L’accampamento, realizzato ad aprile nella piana di Lipa per far fronte all’emergenza nell’emergenza rappresentata dalla diffusione del Covid19 tra i profughi ammassati a pochi chilometri dai confini con la Croazia, doveva essere smantellato ed evacuato perché privo delle infrastrutture di base - acqua corrente ed elettricità innanzitutto - non adatto quindi ad accogliere dignitosamente le persone. L’incendio scoppiato alla vigilia di Natale ha fatto precipitare la situazione e i circa 1500 ospiti del campo si sono trovati da un momento all’altro senza un rifugio, abbandonati a se stessi in un periodo dell’anno in cui le temperature scendono anche di una ventina di gradi sotto lo zero, spesso respinti da altre strutture emergenziali presenti in zona perché già sature o perché le amministrazioni e la popolazione locale si sono apposte all’accoglienza.
Una situazione drammatica, quindi, che chiede alla comunità internazionale di provvedere quanto prima all’invio di denaro e aiuti umanitari per evitare che si trasformi in catastrofe. Ma l’intervento umanitario questa volta non basta. Molto più che in altre occasioni simili, la tragedia di Lipa solleva questioni che vanno al di là di una coperta, un paio di scarpe o un sacco a pelo, pure assolutamente necessari. In Bosnia, lungo la cosiddetta “Rotta balcanica”, non siamo di fronte a un’emergenza inaspettata, a una crisi temporanea figlia di un terremoto o di un evento imprevedibile. Sono anni, ormai, che lungo la dorsale orientale dell’Adriatico si muovono centinaia di migliaia di persone in fuga da guerre, persecuzioni e povertà ammassandosi ai confini dell’Unione Europea in cerca di ospitalità e di protezione. E sono anni che la questione viene affrontata nei modi più disparati, tranne quelli capaci di giungere a soluzioni strutturali.
La Croazia, e non solo lei, si assume il compito di respingere i tentativi di ingresso nell’UE nel modo più barbaro: ronde di militi lungo la frontiera fermano chiunque tenti di oltrepassare il confine e lo cacciano indietro non senza pestaggi e violenze, documentate peraltro da inchieste giornalistiche e da report di diverse Ong. Le organizzazioni umanitarie governative, dal canto loro, sostenute da ingenti finanziamenti internazionali hanno dato vita a massicci interventi umanitari mettendo in piedi decine di campi profughi, tuttora aperti. Interventi che tuttavia semplicemente hanno tamponato la situazione sul versante umanitario e, pur benemeriti, non sgravano l’Unione Europea e i suoi Stati membri dalla responsabilità di questa catastrofe. Non agendo a monte – provvedendo ad accogliere in modo strutturale chi fugge da tragedie di proporzione epocale, o ancor di più modificando i modelli economici che contribuiscono a generarle – essi alleviano sì la sofferenza fisica e psicologica di queste persone in movimento tanto sulla Rotta balcanica quanto su tutte le altre rotte che solcano il Mediterraneo, ma rimangono complici alimentando le cause che la generano. Ogniqualvolta si tratti di affrontare in modo strutturale la tematica della migrazione, l’Unione Europea finisce per fallire, con i suoi valori di solidarietà spesso solo proclamati. Nelle festività di questi giorni, poi, il contrasto tra il modo di vivere privilegiato all’interno della “Fortezza Europa” e l’amara realtà alle frontiere esterne diventa particolarmente drastico, là dove si assiste alla palese violazione dei più elementari diritti umani. E i governi spesso scelgono unicamente di garantire i privilegi ai loro cittadini, timorosi di perdere il consenso.
La rete Minerali Clandestini si lascia interpellare dalla tragedia di Lipa su tutti questi fronti: in primo luogo attivandosi per far giungere urgentemente e nel modo più diretto possibile aiuti umanitari alle organizzazioni che stanno operando sul posto. In secondo luogo organizzando nei prossimi giorni, tramite piattaforma digitale, un incontro pubblico con alcuni volontari presenti a Bihac e persone addentro al problema per diffondere informazioni sulla reale situazione dei profughi di Lipa e degli altri campi della Bosnia settentrionale.
Infine promuovendo campagne di sensibilizzazione e aderendo a quelle già esistenti circa la necessità di andare oltre gli interventi umanitari, per sollecitare l’Unione Europea a prendere decisioni politiche realmente umane riguardo ai propri confini, nella convinzione che i campi profughi servono a contenere il problema, non certo a risolverlo.
Seguiranno a breve indicazioni dettagliate circa le iniziative messe in campo dalla rete Minerali Clandestini di Cuneo in ciascuno di questi tre ambiti.