Dal 18 gennaio al 2 febbraio.
Gianfranco Monaca è certamente uno degli artisti più versatili del nostro tempo. I suoi interessi variano dall’umorismo fresco e graffiante, preferibilmente su temi religiosi, espresso con gustose vignette, alla pittura a olio e con tecniche varie, alla lavorazione della creta, ai collages, con e al commento con testi e disegni umoristici delle satire alfieriane.
L’autore, con questa mostra organizzata da Satura nei locali di piazza Stella, si presenta per la prima volta a Genova e la scelta non sembra dettata dal caso. Se c’è una Chiesa che in passato ha mancato il bersaglio costruttivo e sorridente dell’umorismo è proprio quella genovese, del card. Siri per intenderci, che adesso viaggia su altri binari, per fortuna, ma ha lasciato segni non del tutto cancellati.
Ma vediamo partitamente. In uno scritto allegato al fascicolo di presentazione delle sue vignette sull’Anno Santo, Gianfranco Monaca scrive un piccolo trattato sull’umorismo, ”un servizio da rendere alla Chiesa che, in quanto sale della terra, dovrebbe essere coltivato e diffuso”.
Così nella mostra sfilano sotto i nostri occhi disincantati, popolani ed ecclesiastici, chierici in crisi esistenziale, extracomunitari affamati e borghesi ben pasciuti, poveri di tutto il mondo ed è sempre presente come interlocutore di ciascuno un Cristo nudo con la barba e i capelli ispidi, che ha una risposta quasi per ogni interrogativo, talvolta anche mordace e provocatoria.
In questo modo Gianfranco Monaca castigat ridendo mores e non c’è luogo comune della vita ecclesiale, furberia, fariseismo, speculazione, opportunismo che si sottragga alla sua penna e ai dialoghi intrecciati con i protagonisti delle sue storielle. Non si può descrivere a parole questa variante della mostra: bisogna vederla, anzi guardarla e meditarla per esserne catturati.
C’è anche altro nei locali di piazza Stella: i quadri dipinti con tecniche varie, realizzati con tratti essenziali, quasi impressioni su uno schermo su cui passano scorci di paesaggi urbani e campestri (bellissimi quelli delle colline astigiane, resi con un filo unico ricurvo e pochi altri accorgimenti quasi in astratto) la figura umana, raccontata spesso nella sua solitudine, un sole rosso e inquietante dietro lo sfondo di alberi nudi, i vasi di fiori appena sbozzati, che esplodono sulla tela come fuochi di artificio (si veda il soffione che spande nel vento i suoi semi ad ombrello), i casolari sparsi nella campagna nebbiosa, delineati con pochi tratti sicuri, i volti anonimi di poveri diavoli, di Cristi, di madri dolenti, scene di pietà e di dolore universale, perché la pittura di Gianfranco Monaca non si astrarre dalla realtà, ma ci si tuffa dentro, si lascia intrigare e catturare, per essere restituita sulla scena in forme artistiche universali. L’artista lavora anche la terracotta traendone figure umane e formelle, con immagini ancora vive e reali, non soltanto presepi ali, ma piastrelle ingobbiate e invetriate a soggetto vario, statuine tra le quali compaiono pastori e magi, sempre calati in una umanità che non volta le spalle al mondo, ma ci vive dentro con tutti i suoi drammi.
Nella nostra ci sono anche le satire di Vittorio Alfieri, illustrate con vignette e disegni (Gianfranco Monaca rende qui omaggio al suo grande conterraneo). In questa sezione della mostra si sperimenta dal vivo l’attualità delle satire dell’Alfieri, scritte per una società corrotta e frivola, restituita dall’artista con toni mordaci e impietosi, in tutta la sua odierna realtà.
(Testo critico di Giovanni Meriana).