di Maurizio Bongioanni.
Venerdì 10 gennaio moriva Patricia Dao, scrittrice e attivista della Valle Bormida. Aveva solamente 62 anni. Patricia è stata una protagonista storica e fondamentale delle lotte contro l'inquinamento dell'ACNA di Cengio negli anni '80 e '90. Insieme a Renzo Fontana (morto nel 2002), all'epoca suo marito, fondò - insieme ad altri attivisti - il giornale Valle Bormida Pulita, quindicinale d'inchiesta su un territorio malato qual era in quegli anni la valle. Dopo gli anni della lotta, Patricia era tornata a vivere in Francia, a Biot. Aveva pubblicato un libro dedicato alla lotta, chiamato semplicemente Bormida che fece anche tradurre in francese.
Qui su Altritasti pubblico un lavoro inedito, il frutto di una lunga intervista raccolta proprio in Francia, a casa di Patricia. La pubblico divisa in più parti (non so ancora quante, il lettore mi perdonerà questa incertezza). Si tratta di una mole di appunti, che ho sistemato e che ho tenuto nel cassetto fino ad ora. A più di 6 anni da quell'unica intervista, ho deciso di liberare gli appunti dal cassetto. Il racconto di Patricia è intervallato da trascrizioni tratte dal libro "Cent'anni di veleni" di Alessandro Hellman e "Acna - Gli anni della lotta" di Ginetto Pellerino.
Spero di non fare torti a nessuno pubblicando questo testo (che Patricia non ha mai letto, purtroppo). Ma spero soprattutto di aver reso il senso di ciò che Patricia, attraverso la sua forza, ha voluto trasmettere con queste parole.
Buona lettura.
PRIMI PASSI
L'acqua del Bormida era di tutti i colori. Ma tra tutti spiccavano il nero e il rosso. La scoprii quando per la prima volta andai al mercato di Cortemilia. Qualcuno mi aveva accompagnata e quel qualcuno mi chiese: “hai già visto l'acqua del fiume?”. Io gli risposi semplicemente di no, che non l'avevo ancora vista. Vederla ebbe su di me un effetto incredibile.
(Patricia Dao)
Centotrentadue anni dopo la nascita dell'ACNA mi trovo, durante le festività natalizie, con lo zio di mia moglie, lo zio Beppe, a Bergolo, minuscolo paesino sopra Cortemilia, che mi racconta della sua lotta personale alla rinascita della Val Bormida. Lo zio Beppe aveva partecipato alle manifestazioni in prima persona, infatti mi racconta delle patele che si è preso sulla schiena con dei manganelli grossi così, della guerra tra piemontesi e liguri durata centodiciassette anni, dei sindacati assenti. Poi va a prendermi un libro scritto da Ginetto Pellerino, un giornalista di Alba, un libro che ripercorre alcuni anni della storia dell'ACNA come un grosso archivio di foto e documenti. È così che dalla sua bocca esce quel nome, che rapisce la mia attenzione. Renzo Fontana, un giornalista. Non hai mai sentito parlato di Fontana? Nel libro ci sono delle foto a colori. Zio Beppe dice di averlo riconosciuto tra quelle ma lui non ci vede senza occhiali, quindi di cercare da me. Ne vedo una con piccolo signore anziano, magro ed energico, che balla il twist durante una festa di paese. La didascalia parla di Renzo Fontana. Non è quello lì, dice lo Zio Beppe. Renzo Fontana è quello a lato, quasi tagliato fuori dall'immagine. Non guarda l'obiettivo, probabilmente non sa di essere fotografato. Sorride, regge un bicchiere in mano.
Renzo è stato un reporter di guerra della Val Bormida. Posso incontrarlo? Non posso. È morto nel 2002. La foto è del 1990. È morto in un incidente in macchina. Dicono che lo hanno fatto fuori.
No, “dicono” non me l'ha detto. Lo zio Beppe non si nasconde dietro gli impersonali. Lo hanno fatto fuori. Così una voragine di curiosità si apre nella mia testa. Come può un paesino così sperduto quale Cortemilia ospitare delle situazioni così paurose? La mia immaginazione viaggia, non la fermo più. L'unica è approfondire. Chi era Renzo. Come è morto. Chi l'ha ucciso. Ci faccio un libro. Anzi no, un documentario. Facciamo che lascio decantare un po' che poi di tutte 'ste idee non ne metto in pratica nemmeno una, come al solito.
La sera stessa rientro a casa e quell'idea è ancora inchiodata lì. Chi era Renzo Fontana. Perché è stato così importante nella lotta della valle? È morto per aver protestato contro i poteri forti? Quella dello zio deve essere stata sicuramente la voce delle voci di paese. Interrogo Google. C'è pochissimo materiale online, quasi niente. Su Wikipedia ad esempio alla voce ACNA, di Renzo non si parla. Al di là di una pagina dedicata a un omonimo scultore, trovo un articolo su un vecchio sito, di quelli graficamente antiquati, con un resoconto di una giornata in suo ricordo. Poi c'è un articoletto minuscolo sul Secolo XIX, quotidiano di Genova. Il trafiletto parla di una morte avvenuta “misteriosamente”. Un incidente e la macchina di Renzo precipitò in un burrone. Un volo di 200 metri. Da quell'articolo scopro che Renzo aveva una moglie. Giornalista e francese. Ha scritto un reportage sulla “sua” lotta all'ACNA in forma di poesia. Si chiama Patricia Dao. Scrivo alla sua casa editrice e vado a letto.
Quando chiuse nel 1999 la fabbrica misurava 520mila metri quadrati con dieci chilometri di strade interne e otto chilometri di ferrovia. ACNA stava prima per Aziende Chimiche Nazionali Associate fino al 1929 e poi in modo definitivo fino alla sua chiusura Azienda Coloranti Nazionali e Affini. Ufficialmente è stata una storica azienda della chimica ma nasce come dinamitificio.
Così inizia la parabola industriale di Cengio, nell'entroterra savonese, al confine con il Piemonte, la storia della fabbrica di dinamite Berberi. Dicono che la scelta di costruirla lì dove oggi ne vediamo i resti sia dipesa dalla disponibilità d'acqua, e infatti l'industria sorge sull'ansa del fiume Bormida. Non solo ma anche per il basso costo della manodopera, tant'è che in quegli anni la dinamite di Cengio dava lavoro a 700 operai su 1300 abitanti. Nel 1906 la fabbrica venne rilevata dalla Società Italiana Prodotti Esplodenti, SpA che produceva TNT ed esplosivi destinati al Regio Esercito Italiano impegnato nella guerra coloniale di Libia. Già nel 1909 gli effetti dell'inquinamento delle acque diedero le prime avvisaglie: il pretore di Mondovì vietò l'utilizzo dell'acqua a scopo potabile dei pozzi comuni confinanti di Saliceto, Camerana e Monesiglio. L'acqua del Bormida non poteva essere usata nemmeno per irrigare i campi agricoli e le nebbie che si alzavano dal fiume intossicavano di fenolo a un raggio di 100 km, dalla confluenza con il Tanaro fino ad Alessandria. Quindi i liguri avevano l'impiego e i piemontesi gli effetti dell'inquinamento. Spaccatura questa che caratterizzò le lotte di protesta dei successivi anni.
Con la nuova proprietà la fabbrica occupava arrivò a occupare 50 ettari, produceva acido solforico, oleum e tritolo ma soprattutto cresceva a ritmi incontenibili. Nel 1918 gli operai erano arrivati a 6000. Nel 1922 arrivò un altro divieto, questa volta da parte del pretore di Cortemilia, che fece chiudere l'acquedotto.
Nel 1925 subentrò la Italgas che convertì l'azienda: non più esplosivi ma coloranti e nel 1929 si comincia a parlare di ACNA che viene ceduta per il peggioramento finanziario dei bilanci alla Montecatini e alla IG Farben nel 1932. I dipendenti scesero di nuovo a 700 e ufficialmente la produzione rimaneva quella di coloranti anche se riprese la fabbricazione di gas ed esplosivi mortali utilizzati nella guerra di Abissinia e in Eritrea.
Per la prima volta, nel 1938, 600 contadini citarono in giudizio l'azienda per i danni causati dall'inquinamento. L'anno successivo nel 1939 un'esplosione uccise 5 operai. 23 anni anni dopo, nel 1962, la giustizia diede loro torto condannandoli al pagamento delle spese processuali. Tra le vittime di quell'ingiustizia c'era anche la famiglia di Renzo Fontana.
Passano pochi giorni e arriva una email di risposta direttamente da Patricia. Una risposta asciutta, due righe, niente di più, giusto per chiedermi che cosa cerco. Non so cosa risponderle. A dire il vero mi aspettavo più confidenza. Ma è giusto la prima email. Trascorrono alcuni giorni, poi mi decido per la risposta. L'ansia mi punge, ho fretta di sapere, ma devo andare a piccoli passi. Non posso chiederle come è morto Renzo e basta. Sono permeato di becera e pusillanime curiosità ma decido di prenderla alla lontana. Così le propongo di vedersi. La sua risposta arriva dopo poche ore - forse non ne è passata nemmeno una – più secca della precedente: “Ok ma mi dice che cosa vuole sapere?”. Giusto, andiamo al sodo. E mi affido alla verità. Sono un giornalista – o un aspirante tale - vorrei parlare di ACNA ma soprattutto di Renzo. Passa poco tempo e risponde che non c'è problema, che lei abita in Francia, ad Antibes, ma che verrà a Cortemilia la settimana dopo. Ottimo. Poi in realtà passerà più di mese prima di incontrarla dal vivo. E sarà proprio in Francia, a Biot, nel paese della Costa Azzurra dove lei vive.
Gli anni delle proteste arrivano con gli anni Cinquanta. Nel 1956 tutti i valligiani piemontesi si unirono e risalirono la Val Bormida fino alle porte dell'azienda. 54 persone vennero arrestate. Nel 1960 il Ministero dell'Agricoltura rinnovò all'ACNA il permesso di derivare le acque del Bormida per altri 70 anni.
Nel 1969 a Strevi, 100 km di distanza da Cengio, venne chiuso un altro acquedotto: le sue acque prendevano un colore diverso tutti i giorni. Nel 1970 il sindaco di Acqui Terme sporse denuncia contro ignoti per l'avvelenamento di acque da destinare al consumo umano. Nel 1974 si aprì la prima indagine contro quattro dirigenti della fabbrica ma quattro anni dopo vennero assolti.
Nel 1976 un reattore dell'industria chimica ICMESA di Meda, bassa Brianza, andò in avaria facendo fuoriuscire nell'aria una nube tossica di diossina che subito il vento spostò verso Seveso. Oltre 200 persone si intossicarono e migliaia di capi di bestiame furono abbattuti. Da quell'incidente venne promulgata la Legge Merli, che per la prima volta stabiliva limiti precisi alle emissioni inquinanti. È provato dai documenti esistenti che la fabbrica di Cengio cominciò a scaricare i propri rifiuti di notte nel fiume o nasconderli nei terreni circostanti, con l'obiettivo di abbassare gli alti livelli di concentrazione, abbassamenti che venivano giustificati grazie a nuove soluzioni di depurazione, in realtà di facciata.
Nel 1979 ci fu un'altra esplosione e questa volta persero la vita due operai. Nel 1982 fu la Provincia di Asti a denunciare i vertici dell'ACNA: a lievi condanne in primo grado seguì l'assoluzione in appello. Nel frattempo iniziava un nuovo processo, questa volta a carico di nove dirigenti e del medico di fabbrica, indagati per episodi di cancri alla vescica. Se in un primo tempo i sindacati si costituirono parte civile furono poi convinti dai vertici aziendali a ritirarsi dal processo. Si decise in quel frangente di terminare la produzione di coloranti e – sempre ufficialmente – dedicarsi ai pigmenti. Processo che vide il taglio di numerosi posti di lavoro inasprendo così i rapporti tra operai e “valligiani”.
Sabato 11 gennaio 1986 su il Secolo XIX compare la notizia dell'ennesimo incidente nella fabbrica: un fiotto gassoso di acido solfidrico si spande per il paese dopo aver investito il caporeparto che rimane paralizzato a vita. I primi effetti giuridici dei vari esporti arrivano tra il 1985 e 1986 quando la pretura di Cairo Montenotte apre un'inchiesta sugli scarichi dell'ACNA nominando una Commissione tecnica formata dalle Ussl di Cuneo, Asti e Savona e con l'incarico di controllare settimanalmente le caratteristiche chimico-fisiche dello scarico. Parallelamente arriva la relazione della Commissione d'inchiesta dell'allora Ministro del neonato Ministero dell'Ambiente, Valerio Zanone, che evidenzia, tra le altre cose, come il 74% della porta del fiume Bormida da Millesimo sia sottratto dall'ACNA e ributtata con gli scarichi dello stabilimento causando la scomparsa della vita acquatica e sottolinenando l'insufficienza dei depuratori.
Nel 1987 nacque a Vesime, nell'Alta Langa astigiana, l'Associazione per la Rinascita della Valle Bormida con lo scopo di lottare contro l'inquinamento prodotto dallo stabilimento. Nello stesso anno organizzarono la prima “passeggiata ecologica” di protesta a cui presero parte seicento persone.
Come tutte le lotte ci sono stati alti e bassi. La nostra storia si riferisce agli ultimi 10 anni. Perché per 10 anni abbiamo dato la nostra vita? Io non sono Santa Patricia, non esiste San Renzo. Questa è la vera domanda da porsi quando si parla di Val Bormida. Quello che mi ha sconvolto è che questa valle ha lottato per 117 anni. È un luogo unico, se ci pensi. Tutto è iniziato nel 1882 con l'avvento della Rivoluzione Industriale e finisce con la crisi di questo modello produttivo. Significativo, non credi?”
La questione dell'Acna solleva tante altre questioni, di mezzo vanno le vite umane.
È una domenica di maggio. Ci impiego tre ore di autostrada a raggiungere Biot, nell'entroterra di Antibes, Costa Azzurra. La sento al telefono, mi dice di parcheggiare vicino alla sede della croce rossa. Non l'ho mai vista. Attendo di vederla spuntare, con me c'è mia moglie. Dopo 10 minuti arriva: è una donna altissima, maestosa, dai capelli lunghi e scurissimi. Ci presentiamo e subito andiamo a mangiare in un ristorante all'aperto. Biot è un piccolo centro francese, molto grazioso. Mi piacciono questi paesini della costa, li trovo attraenti. La nostra discussione inizia a quel tavolo e finisce a casa sua, in una piccolo appartamento che condivide con suo figlio. Sì, il figlio di Renzo. Entrambi parlano benissimo l'italiano. L'accento è quello della Val Bormida.
Patricia e Renzo si trasferirono a Gorzegno nel 1987 dopo aver abitato, lavorato ed essersi conosciuti a Genova. Lui era un giornalista dell'Unità, in quegli anni una testata di tutto rispetto. Io invece avevo studiato in Francia. Andai a Genova per lavorare nelle strutture alternative agli ospedali psichiatrici. Poi Renzo passò a lavorare per l'ufficio stampa della Coop perché la redazione dell'Unità aveva subìto un ridimensionamento. Patricia, francese, traduceva per lo stesso ufficio stampa. Si conobbero così, mentre Renzo le portava il materiale da tradurre. Da Genova tornammo sulle colline di Gorzegno per far rivivere una bellissima cascina dei genitori di Renzo. Tutti e due eravamo stanchi della città. Lui coltivava l'orto, io lo trasformavo: questa era la nostra complementarità.
Dopo poco che fummo in Langa, nel gennaio del 1988, mia sorella morì per un'emorragia cerebrale. Aveva 29 anni, uno in meno di me, e lasciava due bambine piccole, una di 5 anni e l'altra di appena 10 mesi. Fu una tragedia per me, un enorme lutto. La mia è una storia di vita dolorosa, costellata da lutti. A Genova avevo già perso un marito, psichiatra, da cui ebbi il primo figlio.
Così il mio progetto di vita cambiava di nuovo e nello stesso momento in cui cambiava ripartiva il fermento della lotta all'Acna.
Dopo la prima manifestazione dell'Associazione per la Rinascita della val Bormida trenta comuni della Valle assumono una delibera in cui chiesero la sospensione cautelativa dell'attività dell'ACNA di Cengio, la bonifica del suolo e del sottosuolo e la messa in cassa integrazione dei dipendenti. I sindaci degli stessi Comuni minacciarono le dimissioni in blocco. L'anno successivo più di settemila manifestanti arrivati con 60 pullman da Piemonte, Liguria e Toscana (arrivò pure una delegazione di operai della Farmoplant di Massa, altra fabbrica accusata di inquinamento) sfilarono per le vie di Cengio chiedendo la chiusura e il ricollocamento degli 811 operai. La Cgil si schierò dalla parte dell'azienda e agli operai che si unirono alle proteste dei valligiani furono invitati a licenziarsi. La manifestazione fu bloccata prima di arrivare ai cancelli dell'ACNA. A queste e alle successive proteste si unirono anche i parroci: don Oberto Bernardino della parrocchia San Pantaleo di Cortemilia dichiarò che «in Valle Bormida facciamo troppe sepolture». Le principali testate pubblicarono in quei giorni i risultati di un'indagine epidemiologica: 217 deceduti per cancro nella Val Bormida contro una media di 180 nel Nord Italia. Tra le cause 300 tonnellate di piogge acide l'anno e un milione di metri cubi di rifiuti tossici sotterrati presso lo stabilimento o nei famigerati “lagoons”, laghetti artificiali scavati dall'ACNA dove venivano stoccati i residui delle lavorazioni non depurabili (che solo nel 2001 iniziarono a essere rimossi per essere trasportati su treni speciali nelle ex miniere di sale in Germania). L'inquinamento fluviale equivaleva a quello prodotto da 1,4 milioni di abitanti quando la popolazione della valle era di 219 mila persone. Sono quelli gli anni in cui l'area viene inserita tra i “siti di interesse a elevato rischio ambientale”. Sotto il primo Governo che istituì il Ministero dell'Ambiente. Ma il Governo cambiò e così cambiarono le cose per gli ambientalisti.
Nel 1987 il Tg2 invitava i telespettatori a segnalare casi di degrado ambientale. Due ragazzi di Vesime, provincia di Asti, pensarono di segnalare il caso del Bormida che passava sotto casa loro. Così una troupe arrivò sul posto e girò un servizio poi trasmesso dal Tg2. La sera in cui venne trasmesso a Cortemilia si organizzò una proiezione pubblica. A quella serata presero parte anche Renzo e Patricia, da poco in Langa. Aldo Bruna, amico di infanzia di Renzo, scoprì così che il suo vecchio compagno di giochi era tornato in valle. Gli disse “hai visto che roba? Dovresti fare un giornalino”.
A quella richiesta Renzo rispose: “Io non sono capace di fare un giornalino. Io faccio un giornale”. Lo chiamò Valle Bormida Pulita perché voleva essere il megafono dell'associazione Rinascita della Valle Bormida di cui condivideva il progetto di far rinascere la valle dopo decenni di veleni. Mi chiese una mano. Io non ero una giornalista. Lo sarei diventata grazie al giornale. Sulle prime non sapevo cosa fare. Era appena morta mia sorella, stavo elaborando il lutto, ero proiettata completamente in un'altra sfera. Lui non mi chiese di scrivere per darmi una mano a elaborare il lutto, lui me lo chiese e basta. Io gli dissi: “io sono francese, non so l'italiano”. Mi rispose che l'avrei imparato scrivendo. Ci pensai un po'. Poi dissi a me stessa: “Vaffanculo l'italiano”. E così iniziò la nostra avventura. Eravamo giovani, abbiamo imparato molte cose ma soprattutto siamo sempre rimasti lucidi. Dei veri professionisti.
Io avevo bisogno di finestre sul mondo, di uno sguardo che andasse oltre alle colline. Renzo invece era il tipico langhet, ancorato alla sua terra, alle sue radici. Infatti quando gli chiedevano di dov'era specificava di essere nativo di Gorzegno, nemmeno di Cortemilia.
Quindi eravamo sì una coppia, ma anche due colleghi con due sguardi sulla realtà completamente diversi. E credo sia da questo equilibrio che il progetto abbia avuto e raggiunto delle ambizioni giornalistiche, prima che finanziarie. Rispetto a Renzo, a me interessava molto la lunga storia dell'Acna. Mi sembrava indispensabile venire da fuori per poterne parlare nel suo insieme, per poter vedere oltre e capire alcune cose in più rispetto a chi ci era nato e cresciuto vicino. Per contro, non avrei colto altre cose. Abbiamo saputo, per quanto mi è parso di dimostrare, trovare un equilibrio.
Oggi rivedo quelle due persone con tenerezza perché hanno quasi l'età dei miei figli adesso.
Il 6 maggio 1988 a Bossolasco, in Alta Langa, si sfiorò la rissa dopo che il Ministro della Sanità Carlo Donat Cattin, durante un incontro tra amministratori comunali e dirigenti della fabbrica, rispose agli slogan dei valligiani con il gesto dell'ombrello e una pernacchia. Riuscì a infilarsi in macchina mentre i manifestanti lo rincorsero a calci e un anziano rischiò l'infarto.
Il 2 giugno dello stesso anno duemila persone bloccarono al Colle Don Bosco la tappa in programma del Giro d'Italia a 5 km dall'arrivo guadagnandosi la visibilità su tutti i telegiornali e su alcuni giornali internazionali. In realtà, nonostante si fosse raggiunto il compromesso di far leggere ai cronisti il comunicato stampa preparato dai manifestanti in modo da liberare il traguardo prima dell'arrivo dei corridori, gli organizzatori annullarono la tappa. I corridori, che avevano sudato per 229 chilometri da Parma, arrivati a Castelnuovo si infuriarono con i valligiani, così come i tifosi che continuavano a ripetere “gli scioperi fateveli a casa vostra”. Un cronista disse addirittura che la manifestazione era a difesa dell'ACNA e fu immediatamente rettificato. In ogni caso l'obiettivo venne raggiunto, l'ACNA era ormai un caso nazionale. Se ne parlò pure all'esame di maturità dove l'inquinamento della Val Bormida finì tra le tracce del tema.
Così pure i liguri si mobilitarono. Era il 22 giugno 1988 quando 300 operai, con il sostegno dei sindacati, occuparono simbolicamente la sede della Regione Liguria a Genova per chiedere di non chiudere la fabbrica e salvare posti di lavoro. Due settimane dopo a Torino una seduta straordinaria del consiglio attirò 26 pullman e più di 1000 manifestanti. 600 forze dell'ordine furono disposte sul territorio mentre il traffico si paralizzava e un elicottero a bassa quota controllava i punti nevralgici della città. La Regione Piemonte decise per una chiusura cautelativa, decisione confermata dal Ministero dell'Ambiente a fine mese. I liguri occuparono i binari, sostennero che si trattasse di un imbroglio a opera degli ambientalisti, che la fabbrica non inquinava più come un tempo. Il giorno successivo una nuvola tossica composta di anidride solforosa e solfidrica fuoriuscì dallo stabilimento oscurando il sole in tutta la valle. Mentre a Saliceto le persone si intossicavano, a Cengio i negozi rimanevano chiusi come gesto di solidarietà con i dipendenti dell'ACNA.
Renzo è sempre stato contro l'Acna. Ancora prima di nascere. Il padre e il nonno erano stati condannati a pagare una multa di 8000 lire per aver manifestato contro l'azienda. L'inquinamento dal fiume saliva con la nebbia e la famiglia di Renzo dovette estirpare tutte le viti perché quella non era semplice nebbia: era fenolo. In quegli anni molti contadini tagliarono le loro viti, per sempre. A distanza di decadi si possono ancora vedere i segni di una valle devastata, le cui colline non possono più essere coltivate a vite, come si è fatto nella Bassa Langa, che per questo è diventata Patrimonio dell'Umanità UNESCO. Le cose prendevano il gusto, erano infette. E allora si tagliava.
Ma si manifestava anche dissenso. Come quello organizzato in una manifestazione con i carri, i cavalli e i buoi. Manifestazione per la quale i famigliari di Renzo, con altre persone, vennero condannate.
Colpevoli: questo il messaggio che si voleva far passare. Chi si oppone all'operato dell'Acna è colpevole. E quando la giustizia ti dà del colpevole, anche se sei innocente e anzi difendi la salute come bene comune, in paese perdi la faccia. Vivere in un paese dà un senso di protezione ma può essere anche di una violenza superiore a quella della città.
Quella di Renzo era una famiglia cristiana e comunista. Mentre quella del suo grande amico e compagno Mario Bertola era una famiglia prettamente cristiana. Tutte e due furono condannate. Soprattutto quella di Bertola. E sono state punite proprio per questo: perché erano integre e avrebbero potuto “corrompere” altre famiglie sul tema ACNA ritenuto argomento intoccabile. In quella manifestazione furono centinaia le persone che avevano protestato, ma solo 52 furono condannate. Come le hanno selezionate? I parroci hanno fatto i nomi.
La mamma di Renzo, Giustina, era molto credente. Il primo anno che Renzo andò a catechismo, mentre a tutti i bambini erano state consegnate una matita e una gomma, a Renzo no, non era stato dato nulla. Quando era tornato a casa a mani vuote si era messo a piangere davanti ai propri genitori, ai quali raccontò il torto subìto. La madre restò impassibile. Mandò subito il padre a comprare matita e gomma a Renzo. Poi aspettò che il parroco andasse a benedire la sua casa e le bestie. Giustina aveva fatto trovare une bella torta pronta per l'occasione, la casa pronta e ordinata, pure un bicchiere di vino. Quando il prete fu in casa, chiese a tutti di uscire e, nonostante tutte le sue zie e sorelle suore in famiglia, non ci pensò due volte: prese il parroco al collo e gli disse “se ti permetti ancora una volta, ma una volta sola, di fare una cosa del genere a mio figlio ti rompo la faccia”. La Giustina buona, che ha sempre vissuto in cascina a Cortemilia. Io la trovo una storia bellissima. L'Acna era entrata nel tessuto sociale, trasformando le persone. Ha percolato in esse.
Nell'agosto 1988 la fabbricà subì la sua prima chiusura. Durerà solamente 45 giorni invece dei sei mesi proposti. Tutti sanno che in quei 45 giorni di agosto, con la politica in vacanza, la fabbrica non avrebbe fermato lo stabilimento per davvero. Così Cortemilia, paese di 2500 anime, ospitò una nuova manifestazione a cui aderirono 8000 persone. Al loro primo giorno di scuola, le aule di elementari, medie e superiori cortemiliesi rimasero chiuse. Il 19 settembre 1988, in un'Italia alle prese con le navi dei veleni – a cui in gran segreto contribuì anche l'ACNA – il nuovo Ministro dell'Ambiente Ruffolo giudicò il piano di risanamento dell'azienda chimica sufficiente e ne permise la riapertura. Il piano prevedeva un impegno da parte dell'ACNA di 95 miliardi di lire da spendere in tre anni. Secondo i dati forniti dall'avvocato Vincenzo Enrichens in fase di accusa al processo che si aprì in quegli anni a Cairo Montenotte e che vedeva sul banco degli imputati tre dirigenti dell'ACNA, solo il danno ittico ammontava a 80 milioni di lire annui a cui andavano aggiunti il danno da chiusura dei pozzi di irrigazione, alla scomparsa di orticoltura e frutticoltura ma soprattutto della viticoltura: le famose terrazze di Cortemilia producevano il dolcetto, un tempo prezioso prodotto della Val Bormida.
Poi si incominciò a parlare di costruire un inceneritore per il recupero dei solfati prodotti, il RE-SOL. La Regione Liguria lo approvò e le proteste ricominciarono. Al Festival di Sanremo Gino Paoli e il duo Al Bano-Romina si esibirono con la spilletta “Valle Bormida Pulita” e ad aprile iniziò un presidio di 24 ore su 24 ai cancelli della fabbrica scaturito dalla preoccupante scoperta fatta da due sindaci della zona di uno scarico di percolato che defluivano direttamente nel fiume. Il presidio durò un mese quando la fabbrica fu chiusa per permettere di costruire opere di contenimento del percolato. Opera mai realizzate. Violando il provvedimento di chiusura cautelare la fabbrica riaprì ma l'allora ministro Ruffolo ne ordinò la ri-chiusura per 6 mesi. Gli operai insorsero: un gruppo di manifestanti si recò a Roma, altri bloccarono il traffico sulla Torino-Savona. Intanto però le indagini e i prelievi per la costruzione del RE-SOL andavano avanti, dai quali risultò un effettivo pericolo di emissioni di diossina nell'aria. Non curante di tale rischio, l'ACNA commissionò i lavori alla Lurgi, con un appalto da 70 miliardi. Nel novembre 1990 fu organizzata contro la costruzione dell'inceneritore la più grande manifestazione della valle alla quale parteciparono 10mila persone.
Patricia ricorda un episodio, sconveniente per l'integrità dei nostri sindacati italiani, successo al culmine di un presidio del 1989 a cui presero parte parecchie televisioni e testate. Il presidio era durato un mese: per 30 giorni i manifestanti si diedero il cambio sul greto del fiume. La giornata era iniziata nel peggiore dei modi: alcuni malintenzionati, con tutta probabilità dipendenti dell'ACNA, avevano tagliato le gomme delle macchine a tutti i manifestanti. I carabinieri erano presenti, ma non uno intervenì. Invece la polizia ci intimava di andarcene, di abbandonare il presidio. Noi ovviamente rimanemmo. E alla fine ci picchiarono.
Io e Renzo quella notte eravamo insieme. Fu un caso, poiché solitamente ci si dava il cambio per rimanere a casa con Ettore (Davide non c'era ancora). Invece, combinazione vuole che ci trovammo insieme. Quella notte entrambi capimmo che sarebbe successo qualcosa. Io pensavo a Ettore, al giornale da mandare avanti. Un po' ci rassicurava il fatto che ci fossero tanti anziani, gli stessi che affettuosamente preparavano la minestra per tutti quelli del presidio. Mangiavamo minestra e intanto respiravamo veleni dal fiume. Eravamo proprio lì sul greto del corso d'acqua, in mezzo alle pozzanghere di rifiuti tossici. Lo so, eravamo dei pazzi. Ma stare lì era l'unico modo perché loro non potessero continuare a buttare la solita merda nel fiume. Così avevano fretta di sbarazzarsi di noi. Per loro eravamo diventati un bel problema.
La polizia del corpo speciale era venuta da Cuneo. Alle quattro del mattino li liberarono dai carri sui quali erano rimasti chiusi per ore. Come bestie. Durante il viaggio, mentre se ne stavano chiusi nelle loro camionette, gli avevano detto che noi eravamo dei terroristi. Così, quando gli hanno dato la larga, erano come impazziti, alla ricerca spasmodica di un nemico da incornare. I manifestanti erano il nemico. Quella sera ci hanno picchiato. Ricordo addirittura un poliziotto che ci minacciò con la pistola in mano. Se in quella notte non ci scappò il morto è stata solo grazie alla fortuna.
Non volevamo andarcene, così ci sedemmo per terra per protesta. Di fianco avevo seduto quello che sarebbe diventato il futuro sindaco di Cortemilia. Ho ancora nell'orecchio il rumore che ha fatto il suo cranio quando è stato colpito dal manganello.
Poi la proprietà dell'Acna ha acceso tutte le luci. I sindacati osservavano la scena impassibili dalla loro postazione, in cima a una collinetta. La polizia intanto aveva già distrutto la tenda della Croce Rossa. Noi rimanevamo seduti. Quando i poliziotti mi si avvicinarono dissi loro che ero incinta. Eravamo parecchie donne. E tutte dissero di essere incinte. Ho detto una balla, e tutte mi hanno imitato. Così si sono limitati a sbatterci in strada, allontanandoci dal presidio, dando una lezione a chi era rimasto nel presidio. Renzo se le prese di santa ragione. Era il giorno del suo compleanno: me lo ricordo perché delle signore gli avevano fatto una torta. Quando ci siamo ritrovati era coperto di lividi. Sempre sotto la benedizione dei sindacati. Anche la sua macchina da scrivere finì per essere danneggiata. Renzo usava sempre la sua macchina da scrivere per mettere nero su bianco i suoi articoli. E al presidio la usava sempre, come si usa un moderno portatile. Dopo averla demolita, calpestata a terra più volte, la posarono su un muretto. Uso questa immagine perché è molto significativa. Noi l'abbiamo ripresa, non potevamo abbandonarla. Così l'abbiamo riportata in cascina.
Nemmeno i sindacati stavano dalla loro. Anzi. Un sindacalista della Cgil, che oggi ricopre incarichi a livello regionale, all'epoca stava lì sopra la collina sul Bormida con il suo megafono, e per ore e ore non ha fatto altro che insultarci. Ripeteva “Puttana! Tu sei una puttana” rivolgendosi a me. E a Renzo: “e tu, Renzo, sei un figlio di puttana! Tua madre batteva in Via Prè. Anche tua madre è una puttana”. Così, per ore e ore. Questa era il livello degli attacchi. Il grande sindacato della Cgil. Puoi immaginare come si sentiva Renzo che per anni ha lavorato a L'Unità. Puoi immaginare come si poteva sentire essere insultato così proprio da loro.
Questo accadeva di sera. Con la gente a casa, che potesse sentire attraverso il megafono come venivano trattati quelli che osavano impedire all'Acna e ai lavoratori di produrre. Finii per non sopportare più il peso di quegli insulti, così presi il mio di megafono e risposi: “vieni giù che te la do a gratis”. Si scatenò il putiferio, tutti iniziarono a inveirmi, a fischiarmi, a gridare:“fai schifo, schifo, puttana”.
Un ricordo magnifico. Non che mi diedero della stronza per quello che scrivevo, per le mie inchieste. No, mi diedero proprio della puttana. Poi questo signore, questo sindacalista, lo reincontrai a settembre dell'anno dopo. Pensa, l'ho rivisto in uno stand durante una manifestazione di libri, dopo aver detto a Renzo di rimanere con Ettore perché volevo farmi un giro da sola. Lo sorpresi in uno stand di libri sulle femministe. Guardava quei libri, capito?, dopo che mi aveva urlato della puttana per ore. Quando mi accorsi di lui mi si asciugò la saliva ma non ci pensai due volte. Sono partita arrivandogli dritta davanti. Era accompagnato da una donna che nemmeno guardai in faccia. Solo sibilai: “non mi chiami puttana stasera?”. La cosa tra l'altro era molto ambigua, potevo sembrare la sua amante, capito? Sto qua ha distolto lo sguardo e per sua fortuna ha intravisto Renzo al fondo della sala e ha cominciato a dirgli “Ciao Renzo! Vieni qui, Renzo, vieni”.