I semi e la terra

Stampa


Sabato 6 luglio, alle ore 17,30 alle Antiche Mura di Asti, lo scambio di semi autoprodotti sarà al centro di due iniziative che apriranno la seconda giornata di "Naturalmente Arte 2013 - Erbacce di città" e faranno da anteprima agli spettacoli teatrali in programma dalle ore 19: la presentazione del libro di Davide Ciccarese "I semi e la terra. Manifesto per l’agricoltura contadina" (Altreconomia Edizioni) e uno scambio/baratto di semi autoprodotti "made in Asti" ....

Diversi cittadini astigiani porteranno con loro artigianali bustine di semi da donare o da scambiare, in segno di rispetto ad una tradizione millenaria che nuovi regolamenti continentali vorrebbero trasformare in un atto contro le leggi.
Regalare semi è un atto contro le leggi ? Già ... Per comprendere meglio la situazione vi proponiamo un intervista a Davide Ciccarese, che sabato prossimo sarà assieme a noi per approfondire le questioni.

Qualcuno potrebbe licenziare questo volumetto come uno scontato elogio del ritorno alla terra, immagine glamour e romantica di questi tempi piuttosto inflazionata. Ma con le 160 pagine di I Semi e la terra – Manifesto per l'agricoltura contadina, edito da Altreconomia, Davide Ciccarese in realtà fa ben altro. L'analisi dell'agronomo, esperto nella realizzazione e gestione di fattorie didattiche, orti urbani e sviluppo delle aziende agricole, segue passo per passo - o forse sarebbe meglio dire “solco per solco” - quel che rimane (da fare) di un'attività fondamentale per la sopravvivenza dell’uomo. E quindi, se di elogio si vuole parlare, che sia rivolto all'agricoltura contadina. Un mondo abitato da contadini e piccoli agricoltori di ritorno che, facendo rete, producono per il fabbisogno familiare e per il piccolo commercio. In quest’ordine, “unica garanzia di cibo per tutti”.

Agricoltura contadina: occasione per reinventare la nostra economia?
“Lo abbiamo visto in molte parti d’Italia: giovani che si stabiliscono in piccoli centri di campagna e avviano nuove attività agricole. Intorno si creano comunità attive di persone che li sostengono e danno loro una mano nell’intento di portare alla luce un’attività ormai persa. Dove l’agricoltura c’era e dove poi è scomparsa. Ora rinasce in una forma nuova. Recuperando l’attività si recupera anche il territorio”.

E’ quello che noi possiamo immaginare per il futuro?
“Io ci vedo non solo una rinascita economica, di sviluppo e salvaguardia dei giovani. Ma un’opportunità da cogliere subito visto che cominciano a nascere dei consumatori più attenti e capaci di venire incontro a delle aziende agricole che hanno dei sani principi. Ci vedo anche un nuovo futuro perché se più della metà delle persone abita in città, non dobbiamo dimenticare che si deve pur coltivare per mangiare”.

Scenario estremo: se tutti coltivassimo la terra, questa non basterebbe e si creerebbero conflitti sociali.
“Abbiamo 0,23 ettari a testa, che significa 2300 mq a disposizione da coltivare. Se coltivati bene possono dare produzione, magari non a sufficienza, però ci siamo quasi. Ci sono tanti territori abbandonati e comunità intere che non aspettano altro che accogliere giovani e dargli il terreno. Parlo dell’Italia: noi abbiamo un sacco di terreni collinari e dimenticati. E questi piccoli paesi, cittadine, borghi permettono di vivere una vita spettacolare".

Lo scorcio è da vita un po’ hippy, un po’ nostalgica.

“Non parlo di vita da hippy, ma attività con un valore sociale e imprenditoriale importante. D’altra parte l’agricoltura contadina è il futuro perché è un modello di agricoltura basato proprio sulla comunità. Che significa produrre per la comunità locale, instaurare un meccanismo di relazione diretta con chi lo consuma, scambi in un certo modo con altri agricoltori locali. Si crea rete, rapporti diretti, per scambiare i semi, le informazioni e talvolta perché no, anche i macchinari. Ci si dà una mano a vicenda, sostanzialmente”.

E poi c’è in gioco un patrimonio culturale che si sta perdendo rapidamente.

“L’altro giorno mi sono portato a casa da Cabella Ligure – piccolo centro montano in provincia di Alessandria - un seme di una varietà di fagiolo antica che loro chiamano ‘fagiolana bianca’. Un fagiolo enorme di due-tre centimetri che era coltivato localmente e rispondeva bene al microclima locale. Un seme così è il seme del futuro. Un seme così non si ammala perché è tarato per quel territorio, si è adattato nei secoli. Questa è la strada da seguire. Non possiamo coltivare lo stesso tipo di mais in tutto il pianeta, dobbiamo coltivare quello che ci chiede la terra, localmente”.

Campagne abbandonate e fuga dai paesi montani: come si ritrova la strada persa?
“Innanzitutto chi coltiva deve avere una grandissima formazione, una preparazione che va oltre una semplice competenza tecnica, deve essere un’attenta lettura del territorio di tipo biologica, naturalistica, paesaggistica, agronomica cioè l’agricoltore del futuro è un po’ l’uomo che ha dentro di sé tanta conoscenza, non solo di esperienziale ma anche di studio e ricerca”.

C’è un movimento mondiale di salvaguardia dei semi tradizionali contro l’omologazione tanto cara alle multinazionali.
“A livello mondiale siamo al livello di una battaglia, perché chiaramente i semi hanno un forte interesse economico e possiamo capirne le ragioni. Perciò quello che si cerca di fare è creare una barriera per salvaguardare le varietà locali tradizionali o antiche che rappresentano un patrimonio per l’umanità che non può essere né standardizzato né sottoposto ad un monopolio di royalties e quindi venduto come proprietà intellettuale. Assurdo per un seme nato dallo scambio di molte persone nei secoli, che deriva da un ambiente unico nel suo genere e viene tramandato di generazione in generazione”.

In Italia che si fa?
“Due aspetti importanti: il primo è che in Italia si sta cercando di portare avanti una campagna contadina per cercare di regolare e migliorare le norme per fare in modo che l’agricoltura contadina diventi accettata a livello normativo. Questo è un passo per me fondamentale e ha un ritorno europeo. Parliamo della ‘Via campesina’, e in Italia ‘Civiltà contadina’, ‘Rete semi rurali’. Realtà che non hanno grandi bandiere ma che stanno portando in tante regioni l’applicazione di norme per accogliere questo tipo di agricoltura, scambiando i semi e preservando la biodiversità locale”.

In gioco ci sono le motivazioni sociali di intere comunità, giusto?
“Certo perché significa salvaguardare la sopravvivenza di molte persone e se dal punto di vista economico poter scambiare un seme significa potersi nutrire, dall’altra significa essere costretti ad acquistare un seme ad un prezzo imposto. Cioè un grande investimento che in molti casi fa la differenza tra la sopravvivenza e la non sopravvivenza”.


Tratto da: http://spettacoli.tiscali.it/articoli/libri/13/06/semi-terra-intervista.html