Un appuntamento con molte incognite

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di Carlo Sottile, Michele Clemente e Egle Piccinini per il Coordinamento Asti-Est.

E' parso evidente, con il trascorrere del tempo, che non c'è nessuno oggi nelle nostre istituzioni che caldeggi un epilogo drammaticamente repressivo delle quattro occupazioni in città (via Allende, via Orfanotrofio, strada Volta, salita al Fortino). Per la cinquantina delle famiglie che vi sono coinvolte, questo è un bene, anche se provvisorio, visto che altrove (Milano, Roma, Bologna) ci sono stati sgomberi, anche recenti, di palazzi occupati. D'altra parte basterebbe frequentare in questi giorni gli ingressi delle scuole primarie cittadine per rendersi conto che le famiglie “occupanti” vivono una quotidianità dignitosa e carica di futuro; e questa non può essere negata da un superficiale e brutale legalitarismo (solo in via Orfanorofio sono 10 i bambini che frequentano le primarie e 7 che frequentano la scuola materna) ...

In più, proprio di questi tempi, l'esodo dalle guerre ha aggiunto con più forza nuove domande sulla ormai insostenibile disuguaglianza che caratterizza la nostra società.
Pare altrettanto evidente però che le azioni filantropiche e di riduzione del danno, in cui si esaurisce la politica sociale della Amministrazione, nonché gli appelli e le mobilitazioni morali e pratiche della Caritas, preziosissime nel breve periodo, non siano sufficienti per superare una emergenza abitativa, che dura ormai dal 2008, di cui nessuno sa prevedere una fine, e di cui si
preferisce in generale non valutare gli effetti di più lunga durata; l'accentuarsi delle disuguaglianze per esempio, e sicuramente un malessere sociale sempre più indefinito e perciò carico di imprevedibili reazioni. Diversamente gli sportelli delle associazioni, compresa la nostra, il Coordinamento Asti-Est, registrerebbero un qualche calo degli accessi. Cosa che non è.

Ora, va rilevato che tale emergenza, complice il tempo (la prima occupazione è del 2010), diventa un dispositivo che raffredda artificialmente il conflitto sociale e per ciò stesso corrompe le coscienze di chi vi è assoggettato e di chi ne fa uso, ovviamente le istituzioni. Guerra tra poveri, opportunismo e cinismo invece che l'affermazione di diritti di cittadinanza e la rimozione delle cause della disuguaglianza. Un simulacro di democrazia anziché un democrazia partecipata. Un esito, di cui si colgono fin troppo le avvisaglie, che non dovrebbe far piacere a nessuno.

Il 22 settembre in salita al Fortino 109, insieme all'ufficiale giudiziario e alla minaccia di sgombero delle otto famiglie che vivono in quell'edificio da più di un anno, tali questioni si riproporranno, con palmare evidenza. L'assessore pare abbia lavorato per un rinvio, il rappresentante della proprietà, ben consapevole che adesso il mercato immobiliare non offre grandi opportunità, potrebbe ancora
una volta mostrare benevolenza, le famiglie, non avendo al momento una alternativa abitativa, sperano che il rinvio si faccia. E poi ?

La svolta che tutta la cittadinanza attiva si aspetta è, finalmente, dopo tanti anni di conformismo (alle politiche dell'austerità e alle pretese del partito del mattone), un atto che avvii un nuovo corso nel rapporto tra le istituzioni, in particolare tra l'Amministrazione e i rappresentanti della proprietà, sia quella piccola, sia quella, di cui l'immobiliare proprietaria dell'edificio di salita al Fortino fa parte, più attenta alle opportunità del mercato.
La piccola va considerata dalla parte del problema e quindi va semplicemente sostenuta. L'altra (immobiliari, banche, assicurazioni), che a ragion veduta e storica l'associazione che scrive considera assenteista (valga come esempio proprio l'edificio di salita al Fortino, rimasto vuoto e in abbandono per 12 anni), va ricondotta ai suoi obblighi costituzionali.

Nell'attesa non c'è nulla da inventare. In sintesi, cogliere il senso delle cose negli articoli della Costituzione che ammettono la proprietà alla condizione che abbia una funzione sociale (art.41,42,43); imporre (requisizione) o persuadere (comodato d'uso) che, conseguentemente, quell'edificio mantenga la funzione sociale attribuitogli dalle famiglie che lo occupano; che tale funzione sia risolta con un programma di passaggi da casa a casa delle famiglie.